Trump e la politica del nemico

Alla fine Donald Trump è stato costretto a fare marcia indietro. Ha firmato un ordine esecutivo per bloccare la politica che prevedeva la separazione delle famiglie di immigrati fermati al confine meridionale degli Stati Uniti. I figli divisi dai propri genitori, dato che incarcerare i minori è legalmente impossibile.

La decisione di riunire le famiglie è stata dettata dall’ondata di protesta che la vicenda aveva suscitato. Le critiche sono arrivate non solo dall’interno ma anche attraverso la pressione internazionale. Le Nazioni Unite, per mezzo dell’Alto Commissario per i diritti umani, ha giudicato la politica “inammissibile”. Anche Papa Francesco si è schierato contro la decisione, definendola contraria ai valori del cattolicesimo.  Nello stesso partito Repubblicano si sono alzate diverse voci contrarie.

Le separazioni, in linea con altre controverse scelte di Trump contro gli stranieri, sono figlie di un inasprimento delle politiche migratorie del governo annunciato lo scorso maggio da Jeff Sessions. Il Procuratore Generale degli Stati Uniti aveva preannunciato una politica della “tolleranza-zero”. Da quel momento in poche settimane 2.300 minori sono stati sottratti ai loro genitori, detenuti lungo il confine con il Messico. I minori, a volte solo neonati, sono tenuti in centri di accoglienza che hanno attualmente raggiunto il 94% della capacità.

Il clamore mediatico stava diventando troppo pesante. Le immagini dei bambini in lacrime vicini ai genitori arrestati o disperati dentro le gabbie sono diventati simboli dell’opposizione a Trump. Il suo obiettivo era da una parte quello di dissuadere l’immigrazione dal Messico e dall’altra costringere il Congresso a votare una riforma sistematica delle politiche migratorie finanziando, tra l’altro, la costruzione del muro lungo il confine. Una strategia della deterrenza tipica di Trump che, vistosi attaccato, ha accusato i Democratici affermando che le proteste pubbliche fossero in realtà un diversivo per nascondere i suoi successi. Anche Kirstjen Nielsen, Segretario della Sicurezza Interna, ha accusato della vicenda il Partito Democratico e leggi federali che, ha affermato, sarebbero lacunose e creerebbero un “confine funzionalmente aperto”.

Gli oppositori, d’altro canto, continuano a ritenere il passo indietro insufficiente. Secondo alcuni, l’ordine esecutivo che ferma le separazioni forzate rimarrebbe vago su alcuni punti, soprattutto non chiarisce se e quando le famiglie già separate saranno riunite.

Il tono di Trump rimane, infatti, minaccioso. Qualche giorno dopo la ritirata è tornato ad attaccare chiedendo deportazioni sommarie al confine esortando ad abbandonare il sistema giudiziario con cui attualmente vengono gestite le richieste d’asilo.

Trump continua ad indirizzare il dibattito pubblico. Una tattica che distoglie l’attenzione da eventuali critiche. Come quella lanciata dall’Onu attraverso il Relatore speciale Philip Alston. La critica è pesante. Secondo Alston con Trump l’America ha visto “un drammatico cambiamento di direzione” che premia i ricchi e danneggia i poveri. É chiaro il riferimento al recente taglio delle tasse. Il report rilasciato parla di “attacco sistematico” al programma di welfare e di “crudeltà”.

Con 40 milioni di americani che vivono in povertà Trump è alla costante ricerca di un nemico. Ha bisogno di creare divisioni all’interno di una società già ampiamente disuguale e frammentata.

di Pierfrancesco Zinilli

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