Ennesima tragedia in mare: continua il dramma degli sbarchi

Mentre si continua a discutere sulla corretta linea politica da adottare per affrontare il problema migranti non si arresta l’emergenza sbarchi; più di cinquecento persone sono giunte nei giorni scorsi al porto di Pozzallo (Ragusa) a bordo della nave della guardia costiera “Diciotti”, dopo più di nove giorni di navigazione in attesa di una destinazione.

Tra loro anche i quarantadue superstiti del naufragio del 12 giugno a largo della Libia, soccorsi dalla nave della marina Usa Trenton e poi trasbordati sulla nave italiana. La fine di un incubo, l’inizio (forse) di una nuova vita, tanto desiderata da arrivare a compiere un viaggio in cui nulla, neanche la sopravvivenza, è certo. La disperazione che ti porta ad affidare la tua vita o, peggio, quella di tuo figlio, alle sorti di un destino che opera per mano di gente spietata, per cui l’unico valore della vita umana è quello economico.

Tra le tante storie quella di un bimbo eritreo; non disponendo delle risorse sufficienti a finanziare il viaggio di tre persone, i genitori hanno deciso di farlo partire da solo: ad appena otto anni il bambino ha attraversato da solo svariati paesi, lavorando per continuare a finanziarsi il viaggio fino alla Libia, dove è rimasto sei mesi prima di salire sul gommone in partenza per l’Italia dove, forse, spera un giorno possa arrivare anche la sua famiglia. Nessuno saprà mai cosa hanno visto i suoi occhi durante il lungo tragitto, così come quelli di tutte le altre cinquecento persone; occhi pieni di terrore “come non avevo mai visto prima” ha commentato Teo di Piazza, dell’equipe psicologica di Medici Senza Frontiere. Occhi impauriti e traumatizzati, occhi assenti di chi è sotto shock.

Alcuni di loro hanno scelto di affidare i propri ricordi agli operatori che li hanno accolti, come due sorelle gemelle di diciannove anni, che hanno raccontato il naufragio del gommone sul quale viaggiavano. Improvvisamente l’imbarcazione ha ceduto, creando al centro un buco che ha risucchiato parte dei passeggeri, inabissandosi prima da un lato e poi dall’altro. Le due ragazze hanno visto morire sotto i loro occhi una terza amica che era con loro (che loro definiscono sorella) e una giovane donna con un bimbo molto piccolo in braccio. Gran parte dei superstiti è riuscita a sopravvivere solo aggrappandosi ai cadaveri, per rimanere a galla e non affondare. Delle 117 persone presenti a bordo sessantatré risultano ancora disperse, mentre dodici sono i cadaveri avvistati in mare. Al dramma del naufragio si unisce quello del tanto tempo trascorso tra il salvataggio e l’approdo al porto di Pozzallo; i tanti giorni in mare in attesa della comunicazione della destinazione hanno peggiorato una condizione psicofisica già profondamente compromessa.

Molte di quelle persone hanno attraversato il deserto, subito violenze, stupri, torture; altre arrivano in stato di shock per i drammi vissuti. Secondo i medici che li assistono gran parte di loro presentano una sintomatologia post traumatica; diventa fondamentale quindi assicurare un approdo sicuro nel più breve tempo possibile. Se è doveroso da parte dei governi occuparsi delle corrette strategie e linee politiche da adottare per affrontare l’emergenza, non bisogna però mai perdere di vista la questione centrale del problema: quando si parla di migranti, si parla di migliaia di esseri umani, di uomini, donne, bambini, e del dramma che hanno vissuto prima, durante e che, forse, vivranno anche dopo.

di Leandra Gallinella

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