Passo indietro dei Cinque Stelle, il governo conferma il Tap

La battaglia sul Tap negli anni è passata dall’essere una lotta per la difesa degli uliveti pugliesi, già minacciati dal batterio della xylella, ad una lotta antiglobalizzazione. Da una parte le multinazionali dell’energia, l’Unione Europea e i vari governi italiani e dall’altra i comitati spontanei dei cittadini del Salento. I No Tap sono ancora più soli dopo il voltafaccia del Movimento Cinque Stelle, che aveva in passato sostenuto le loro posizioni. Dopo mesi d’incertezze, il governo ha dato il via libera ai lavori. Da pochi giorni gli operai della nave Adhemar Saint Venant hanno ripreso i lavori di analisi dei fondali al largo delle coste pugliesi.

Il gasdotto partendo dalle coste dell’Albania attraverserà il mar Adriatico – da qui il nome di Trans-Adriatic Pipeline – prima di arrivare a San Foca nel comune di Meledugno, in provincia di Lecce. Da lì le tubature continuano verso l’interno per 8 km. A questo punto saranno posati altri 56 km di tubazioni per collegare il Tap al gasdotto della dorsale nazionale a Brindisi, questo tratto non è, però, ancora in costruzione. In realtà, il Tap è solo la sezione occidentale del cosiddetto Corridoio meridionale del gas, una serie di gasdotti, del valore complessivo di 40/45 miliardi di euro, che dal giacimento di Shah Deniz sul mar Caspio porterà il gas naturale dall’Azerbaigian in Europa, passando per Georgia, Turchia, Grecia e Albania. Tra i finanziatori del progetto c’è l’Unione Europea attraverso fondi strutturali e prestiti elargiti dalle sue braccia finanziarie, la Bei e la Bers. Proprio il ruolo dell’Unione nella vicenda ha suscitato diverse critiche. L’Azerbaigian certamente non eccelle per rispetto dei diritti umani né tantomeno per il livello di democrazia. Il presidente Ilham Aliyev ha bisogno di iniziare a esportare gas per rimpiazzare le entrate da petrolio, in rapido declino. Ha fatto storcere il naso a molti anche il fatto che i fondi europei fossero diretti ad una società che ha sede in Svizzera, quindi fuori dall’UE. La capofila del progetto Tap è, infatti, un consorzio con sede a Baar, in Svizzera, controllato da multinazionali dell’energia, come l’italiana Snam o la britannica Bp. Alcuni esperti della materia hanno riscontrato un atteggiamento ambiguo dell’Unione Europea. Bruxelles avrebbe agevolato il cammino normativo per il progetto Tap che ha ottenuto tutte le esenzioni dalle regole. L’approccio è stato, invece, meno accondiscendente nel caso del North Stream 2 e del South Stream, quest’ultimo ormai cancellato. L’obiettivo di questi due gasdotti è (era nel secondo caso) comune, cioè quello di trasportare gas dalla Russia in Europa aggirando l’Ucraina, i cui rapporti con Mosca restano tesi. L’Unione, però, vuole sganciarsi dalla dipendenza energetica con la Russia, quindi la ricerca di un’alternativa al metano di Gazprom va vista in questo senso. Tuttavia le motivazioni geopolitiche sono diventate più sbiadite da quando il gigante russo Lukoil ha acquisito una partecipazione del 10% del consorzio, guidato da Bp e l’azienda di stato azera Socar, che controlla il giacimento di Shah Deniz, proprio quello del Tap.

I sostenitori vedono il Tap come un’opportunità economica e di risparmio. Dall’altra parte, i comitati No Tap mettono in dubbio l’effettiva convenienza del progetto, preoccupandosi soprattutto dell’impatto sull’ecosistema e l’economia locale, e della possibile contaminazione della fornitura d’acqua. “Nessuno crede che si assuma le responsabilità perché il suo essere avvocato degli italiani si è trasformato in un patrocinio infedele” ha affermato il portavoce dei No Tap, Gianluca Maggiore, riferendosi al premier Conte che aveva detto di assumersi tutte le responsabilità sulla decisione del governo. In molti hanno legato il sì dell’esecutivo al progetto alla visita di Conte alla Casa Bianca in cui avrebbe assicurato il presidente Trump in cambio di un appoggio nell’imminente conferenza sulla Libia e un’esclusione dell’Italia dalle sanzioni all’Iran. Il Tap sarà ormai difficilmente bloccato, con un voltafaccia finale che lascia ancora più amareggiati i salentini e da un altro colpo alla già poca democraticità di un progetto che sin dall’inizio ha tenuto troppo poco in considerazione le necessità dei cittadini.

di Pierfrancesco Zinilli