Il sepolcro dei Rabiri
Chissà se qualcuno, camminando sull’antica Via Appia, a Roma, si sia imbattuto qualche volta in questo sepolcro. Magari gli avrà dato un’occhiata distratta, proseguendo poi oltre.
Eppure, questo monumento racconta una storia che si intreccia con la Storia.
Partiamo dai personaggi raffigurati: Ermodoro Rabirio e Demaris Rabiria da un lato; Usia Prima, sacerdotessa di Iside, dall’altro.
I nomi dei personaggi, escluso il gentilizio Rabirius, tradiscono un’origine non latina. I nomi sono infatti greci. L’epigrafe ci chiarisce subito che ci troviamo in presenza di liberti, schiavi poi liberati. Ermodoro è Demaris appartenevano ad un certo Postumo Rabirio. Costui può essere identificato con Caio Curzio Postumo, che in seguito all’adozione da parte dello zio materno assunse il nome di Caio Rabirio Postumo. Costui era coinvolto in un processo che riguardava l’omicidio di Appuleio Saturnino.
Nel processo vi prese parte come commissario speciale, con il cugino, nientemeno che da Giulio Cesare. In tale occasione, il celebre oratore e giurista Cicerone, compose l’orazione in difesa del senatore Rabirio, la “Pro Rabirio Reo Perduellionis”.
Rabirio Postumo aveva vissuto per un certo periodo ad Alessandria d’Egitto, e questo spiega il nome greco dei suoi liberti e la presenza di una sacerdotessa di Iside, il cui culto era molto diffuso tra gli schiavi e gli strati più poveri della popolazione.
Ad ogni modo, mentre i busti di Ermodoro e Demaris sono coevi e risalgono a dopo la metà del I secolo a.C., il busto di Usia Prima è successivo ed è stato scolpito verso la metà del secolo successivo. Si trattava comunque di un personaggio legato senz’altro ai primi due. La presenza di un sistro e di una patera, strumenti utilizzati nel culto isiaco, contribuiscono a connotare ulteriormente il personaggio di Usia Prima.
di Fabio Scatolini