Daphne Caruana Galizia, a due anni dalla morte si cerca giustizia

Daphne Caruana Galizia venne assassinata a Malta il 16 ottobre del 2017 all’età di 53 anni. La sua macchina esplose con un’autobomba presso la sua residenza di Bidnija vicino Mosta. Quando sua madre saltò in aria insieme alla sua auto, Matthew, il figlio maggiore dei tre, vide tutto. Prima il boato, poi il fumo che si levava verso il cielo, infine la targa con cui comprese che si trattava davvero di sua madre. Un inferno consumato sotto gli occhi di un ragazzo. Una tragedia che si può solo umanamente sfiorare, come carezza sulla pelle di chi rimane e che ha impresso ormai a vita, quell’esplosione e l’atrocità con cui gli fu sottratta la donna che lo aveva messo al mondo, accudito e amato.
Fine dei giochi, giochi illeciti e corrotti, sporchi di soldi e meschinità, di sotterfugi che Daphne cercò sempre di far venire alla luce.
Questa donna era una giornalista coraggiosa e temeraria, che si occupava di inchieste sulla corruzione, riciclaggio e truffa in cui spesso erano coinvolti esponenti del governo maltese. Era una pedina scomoda di questo gioco, una spina nel fianco per molti, un “problema” da eliminare.
Quando morì, aveva collezionato ben 47 cause per diffamazione in corso, cinque delle quali in sede penale: quasi tutte le erano state intentate da politici maltesi.
Aveva seguito l’inchiesta internazionale sui MaltaFiles, evidenziando come la piccola isola del Mediterraneo sarebbe diventata un paradiso fiscale all’interno dell’Unione europea.
Daphne si era sentita in pericolo da tempo ed aveva presentato denunce alla polizia di Malta per minacce, due settimane prima della sua morte. In passato proprio le autorità maltesi avevano fatto pressioni sulle sue indagini e per questo ultimamente pubblicava le sue inchieste sul suo blog personale.
A distanza di due anni la famiglia e i figli chiedono la verità, quella verità che manca ma che tutti cercano perché il tempo non ha fatto dimenticare l’accaduto quanto, al contrario, ha rinsaldato la rabbia, la sete di giustizia e di verità che tardano ad arrivare.
Amava il colore viola Daphne, ci racconta la sorella. Un colore regale usato in passato dalla nobiltà, estratto da una rara chiocciola di mare. Non si può riportare indietro questa donna ma la famiglia chiede che sia Malta che l’Europa garantiscano la non impunità per i crimini commessi contro i giornalisti, perché non è loro compito diventare eroi e il loro mestiere non può essere equiparato ad una perenne condanna a morte.
Al momento sul suo caso ci sono solo tre sospetti arrestati a dicembre del 2017 e da allora non ci sono stati ulteriori arresti. Nessuno sviluppo sui mandanti dell’assassinio. Silenzio. Un silenzio che fa pensare, un silenzio a cui non ci si può arrendere.
I parenti di Daphne chiesero allora come adesso, alle autorità maltesi, di avviare un’indagine pubblica per comprendere le esatte circostanze della morte della giornalista in linea con i suoi obblighi, ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tutto ciò servirebbe a stabilire la possibile responsabilità da parte dello stato, sia per il disinteresse che per la negligenza mostrata. Solo il 20 settembre, il governo maltese ha annunciato di aver intrapreso un’inchiesta pubblica.
Ebbene ora, a distanza di due anni da quella data, in molti la ricorderanno con un fiocco viola e per tutto il mese di ottobre sono previste svariate iniziative dedicate alla sua memoria per ribadire ancora una volta il diritto alla libertà di stampa.
Il prossimo 26 ottobre a Ronchi dei Legionari, verrà conferita la cittadinanza onoraria al giornalista Matthew Caruana Galizia, vincitore del Premio Pulitzer 2017 e figlio di Daphne. Un meritato riconoscimento all’impegno che il figlio, a sua volta giornalista, dedica da sempre alla ricerca della verità sulla morte della propria madre.
Sarà inoltre un momento carico di simbolismo e di forte impatto emotivo l’inaugurazione della panchina dedicata alla libertà di stampa e installata sempre a Ronchi dei Legionari in piazza dell’Unità d’Italia, sulla quale verrà riportata la frase “Quando la verità non è libera, la verità non è vera (Jacques Prevert)”.
Quella del 26 ottobre sarà una giornata in cui verrà nuovamente chiesta giustizia e verità per Daphne ma anche per tutti quei giornalisti uccisi i cui responsabili non sono mai stati identificati.
Ebbene, facciamo almeno in modo che la libertà di stampa non sia un lusso perché senza giornalismo non potrà mai esserci la democrazia.
Occorre disporre della facoltà di raccontare i fatti, di diffondere la verità, di informare la gente senza per questo mettere a repentaglio la propria vita.
Un paese che vuole nascondere la realtà sarà innegabilmente un paese losco, corrotto, marcio e di conseguenza chi vuole raccontare ciò che si vorrebbe tenere insabbiato, diventa un eroe, un combattente, una persona valorosa, coraggiosa.
I figli hanno firmano la prefazione del libro che raccoglie alcuni dei più importanti reportage della giornalista maltese, un libro dal titolo molto significativo: “Di la verità anche se la tua voce trema”. Questo libro è una vendetta contro gli assassini.
Dunque, se qualcuno pensava che il tempo avrebbe scolorito la memoria del 16 ottobre 2017, dell’autobomba di Bidnija, mai scommessa fu più sciagurata. I gradini del monumento che celebra il Grande Assedio degli ottomani è stato trasformato in un memoriale carico di fiori, candele, immagini di Daphne. Le sue inchieste sono state ricordate, il suo nome continua ad essere pronunciato e se si chiudono gli occhi, ovunque, si può vedere l’intero paese cosparso di profumatissimi fiori color viola.

di Stefania Lastoria