Fabrizio Gifuni legge Giorgio Caproni – Fatalità della rima

Lunedì 17 febbraio, alle ore 21:00, sul palco del Teatro Vascello di Roma, Fabrizio Gifuni ha letto per noi, Giorgio Caproni.

Sua la maestria dell’interpretazione, sua l’abilità della drammaturgia.

Fabrizio Gifuni accompagna il pubblico da anni in un sorprendente viaggio nel multiforme corpo della lingua italiana e a questo spartito appassionato e vitale non poteva mancare la musica leggera e profondissima di Giorgio Caproni. Il poeta livornese visse una parte importante della sua vita, a Roma, nella sua casa studio di Monteverde, a due passi dalle abitazioni dei suoi amici Bertolucci, Gadda e Pasolini. Proprio a poca distanza dal Teatro Vascello.

La lettura proposta da Fabrizio Gifuni è un’incursione nella selva acuta dei suoi pensieri, nella fatalità della rima, nelle segrete gallerie dell’anima di uno dei più grandi poeti del ‘900 italiano, Giorgio Caproni (1912/1990).

E chi era Giorgio Caproni in particolare per i più giovani? Fu un poeta incisivo che seppe ridurre la parola all’essenziale, senza fronzoli ridondanti. Il minor numero possibile di verbi ed aggettivi per far arrivare i suoi versi dritti al cuore di chi li avrebbe letti o ascoltati. Nessuna retorica nonostante le rime.

Ed è qui che si mette in gioco Fabrizio Gifuni, con la sua drammaturgia imbastita di versi e brani tratti dal grande poeta del novecento.

Si rimane attoniti, stupiti, esterrefatti e impressionati da cotanta bravura. Non si limita a decantare i versi, la sua è una vera e profonda interpretazione da attore, con una gestualità che cattura, con un’espressività che colpisce e ammalia. Gifuni dipinge il ritratto di un poeta che “finge”, ovvero “forma”, “modella” con le parole la realtà che lui conosce e vive ma che gli altri, a cominciare dal lettore, possono trasformare in emozioni impreviste, mai venute alla luce prima. Il poeta Giorgio Caproni, tra i tanti poeti già rappresentati, “raccontati” e interpretati, a differenza di molti, si può considerare il meno sperimentatore rispetto agli altri del Novecento. Perché quando lui scriveva risparmiava il più possibile sul rumore delle parole… Fu un autore che si distinse per asciuttezza e concretezza, per il valore lessicale e musicale delle composizioni. Non a caso arrivò alla poesia dopo aver studiato musica e per questo conosceva benissimo la metrica, che ha reinventato scrivendo versi.

In tutto questo la professionalità dirompente di Fabrizio Gifuni irrompe, divampa, straripa, esplode. Ha l’abilità di far sì che il corpo dell’attore debba partecipare in quanto il gesto interpretativo è conclusivo di un meticoloso lavoro di ricerca dei testi da “indossare”. Perché la voce è corpo ed anima e mai un’entità separata da tutto il resto.

Il ruolo dell’attore, in questo caso il suo ruolo, è di fondamentale importanza in quanto gioca con un materiale vivo, da rendere ancor più vivo con la sua parola, con la potenza della gestualità, con la vibrazione della voce, con pause, virgole, punti e silenzi… e poi ancora parole, versi, lanciati al pubblico come coriandoli in un tripudio di “danza delle emozioni”.

Ed è così che si esce dal teatro, con una trepidazione che scuote l’anima riempiendola di nuove e indescrivibili sensazioni che hanno il sapore della vita vera. Un plauso a Fabrizio Gifuni che ha saputo rendere vivi tutti, non solo il poeta Giorgio Caproni ma il pubblico presente e chi di loro lo racconterà. Forse non come sa farlo lui ma con altre parole a rendere viva la vita vera.

di Claudio Caldarelli e Stefania Lastoria

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