La lotta ai femminicidi in Italia

In tutto il mondo la prima causa di morte di donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio compiuto spesso da persone conosciute, in particolare mariti, compagni, partner o ex partner. E l’Italia non fa eccezione. L’omicidio è il più grave di una serie di violenze che almeno una donna su tre subisce nella propria vita. Violenze di ogni tipo, fisica, sessuale, molestie, minacce, aggressioni fino ad arrivare allo stupro.

La violenza di genere è un fenomeno diffuso ma ancora in gran parte sommerso. Secondo i dati Istat, solo il 12% delle violenze viene denunciato.

Dalla relazione finale della commissione parlamentare sui femminicidi del 2017 emergono alcune tendenze. La violenza contro le donne tra il 2006 e il 2014 è diminuita: in cinque anni l’incidenza della violenza è passata dal 17,1 per cento all’11,9 per cento nel caso di ex partner, dal 5,3 per cento al 2,4 per cento nel caso di partner attuale e dal 26,5 per cento al 22 per cento nel caso di sconosciuti.

Ma ci sono anche dati negativi. La diminuzione generale degli episodi violenti non arriva ad intaccare la violenza nelle sue forme più gravi (stupri, tentati stupri e femminicidi). Il numero di donne che hanno temuto per la propria vita è raddoppiato passando dal 18,8% al 34,5%.

Anche le violenze commesse da sconosciuti o da persone con cui non si è legate da relazioni affettive sono più gravi. In sostanza, sebbene la violenza nel complesso sia diminuita, non solo non se ne intaccano le forme più gravi, ma la sua intensità aumenta. C’è in generale una maggiore consapevolezza delle donne, che ne parlano più spesso con qualcuno e si rivolgono di più ai centri antiviolenza, agli sportelli o ai servizi contro la violenza.

Va detto che paradossalmente questa maggiore consapevolezza e ricerca di autonomia e libertà femminile da una parte ha innescato una reazione maschile più aggressiva da parte di quegli uomini con un comportamento ispirato a desiderio di dominio e di possesso.

Quasi impossibile credere che l’8,7 per cento dei giovani maschi ritiene accettabile rinchiudere la donna in casa o controllarla nelle sue uscite e telefonate e che il 9,2 per cento ritiene che in alcune circostanze sia accettabile qualsiasi imposizione di coinvolgimento in rapporti sessuali senza consenso, dentro e fuori la coppia.

Va poi sottolineato che il numero di femminicidi accertati cambia a seconda dei criteri di classificazione seguiti e dagli enti che li rilevano (polizia, carabinieri, autorità sanitarie, ong), in particolare i dati forniti dalle forze dell’ordine si riferiscono in generale a tutti gli omicidi con vittime di sesso femminile e non solo a quelli in cui il movente del reato è costituito dal genere della persona uccisa. In ogni caso, i dati statistici mostrano una certa stabilità. Gli omicidi di donne sono più di un quarto degli omicidi complessivi.

Il codice penale italiano è del 1930 e riflette una concezione autoritaria del rapporto tra lo stato e i cittadini e un’impostazione basata sulla subalternità delle donne rispetto agli uomini. Nel corso del tempo si è cercato di adeguare il codice penale grazie a lunghe battaglie e rivendicazioni, con norme che tenessero conto delle sentenze della corte costituzionale e con leggi che rispondessero di più ai cambiamenti e alle rivendicazioni sociali e infine che adeguassero il codice agli obblighi internazionali come l’adesione alla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011. In particolare, in Italia c’è stata molta produzione legislativa su questo tema tra il 2009 e il 2015.

In particolare nel 2013 è stata approvata quella che i mezzi d’informazione chiamano “legge sul femminicidio”, la numero 119 del 15 ottobre 2013, in attuazione della convenzione di Istanbul. Con questa legge è stato modificato il quadro normativo, con interventi sulle singole fattispecie di reato, con l’introduzione di nuove aggravanti e con la previsione di nuove misure coercitive per l’aggressore. Infine sono state concepite alcune norme per l’assistenza e la protezione delle vittime della violenza di genere.

Sembra che dal punto di vista normativo molte cose siano state fatte ma il problema non sembra diminuire, la cronaca costantemente ci aggiorna su queste vite stroncate spesso da ex mariti e o ex partner che hanno sempre vissuto la figura femminile come possesso, appartenenza, proprietà.

Che non si parli più di “amori malati”. Il termine amore in questi casi è l’unica parola che non deve essere nominata né presa in considerazione.

di Stefania Lastoria