Italia sì, Italia no: la terra dei macachi

All’indomani di questa intensa tornata elettorale, anche chi non guarda tv sarà stato tentato di seguire gli approfondimenti politici; se non altro per non perdersi la faccia di Matteo Salvini che, con espressione costipata, cercava di spacciare, ai suoi, la batosta per una sontuosa vittoria. Dovevano sbancare, vincere con un cappotto di 7 a 0, mandare a casa Conte. È finita a tarallucci e vino, balbettando ai microfoni che “esiste anche la Val d’Aosta. Non dimentichiamoci della Val d’Aosta, eh”. Porella, trattata come un Molise qualsiasi.

Dopo aver perso miseramente la Toscana, già data leghista dai giornaletti di destra, il felpato padano ha cominciato a sproloquiare di vittorie anche dove vittorie non ha riportato. Nelle Marche, ad esempio, dove avrà pure vinto il centrodestra ma non certo per merito suo; il candidato che si è aggiudicato la presidenza della regione infatti è di Fratelli d’Italia. Salvini reggeva solo il moccolo.

O in Veneto dove, a volerla guardare bene, non solo ha perso ma ha anche messo a rischio la propria leadership, visto che il trionfo di Zaia è stato determinato dalla sua lista civica che ha totalizzato circa il triplo dei voti dati alla Lega: i Veneti ci hanno tenuto a rimarcare che il voto era alla persona, non al partito. Salvini, comunque, al momento può dormire sonni tranquilli: Zaia gli ha detto di star sereno, ché a lui non interessano incarichi a livello nazionale, e si sa, i leghisti son sinceri per natura.

L’unica vittoria certa per Salvini è stata il sì al referendum. Non tanto perché abbia appoggiato quell’opzione di voto – probabile, anzi, che nemmeno ricordi di averlo fatto – quanto perché di fatto questa novità, con l’attuale situazione politica, potrebbe consegnare il Paese nelle sue mani. Servirebbero parecchi cocktail del Papeete per riuscire a mandare in vacca un’occasione così ghiotta con i sondaggi che lo danno in vetta – se non da solo, almeno con un’opportuna coalizione di centrodestra -, un Governo che, per quanto si finga compatto, tiene con lo sputo, e una legge elettorale che garantisce molto più potere ai grossi partiti. Cioè il suo. Cioè non il M5S. A questo proposito c’è da chiedersi cos’abbia Di Maio da esultare. Hanno fatto passare un referendum simile a quello di Renzi che avevano boicottato, sputtanando circa 300 milioni di euro, per risparmiarne 60 milioni. Un vero affare, l’autocastrazione low cost ai tempi dei pentastellati.

di Marco Camillieri

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