Ilicic e gli altri, il calcio e la depressione ai tempi del lockdown

Josep Ilicic a Bergamo lo chiamo “la nonna”, perché quando arriva agli allenamenti è pieno di acciacchi e di stanchezza. “I compagni gli chiedono come sta e lui è sempre distrutto, stanco. A chiunque gli chieda come sta, lui risponde ‘male, male’. Io infatti non glielo chiedo mai” racconta l’allenatore dell’Atalanta, Gian Piero Gasperini. Ilicic ha 32 anni, gioca con la Dea dal 2008, di mestiere fa l’attaccante, seconda punta o trequartista poco importa. Il suo compito è segnare e lui lo fa benissimo, con quelle gambe lunghe e svelte che sembrano due leve. Sempre in doppia cifra, 15 centri il primo anno, 13 il secondo. Ma il meglio di sé l’ha dato proprio durante la scorsa stagione: 21 gol in 34 presenze, miglior marcatore dei nerazzurri. Segna anche all’ultima partita prima del lockdown, contro il Lecce, mettendo a referto anche 3 assist. Poi, il buio.

Quando il campionato riparte, a giugno, gioca col contagocce. Per alcuni è in ritardo di condizione, per altri è semplicemente fuori forma. L’ultima apparizione è contro la Juventus, poi Ilicic scompare. Torna in Slovenia, si parla di problemi famigliari, Gasperini lo saluta così al termine del campionato: “Josip è circondato da tanto affetto, sono quelle situazioni che possono capitare quando meno te lo aspetti, probabilmente a chiunque e proprio per questo siamo tutti in suo aiuto perché esca da questo e torni ad essere il giocatore che era prima”. Il male che Ilicic prova a nascondere si chiama depressione. La morte del padre quando aveva sette mesi, la fuga da Prijedor, Bosnia, le guerre jugoslave e poi, in età adulta, la morte del compagno di squadra Davide Astori. “Quello che è successo a Davide mi è rimasto in testa per giorni. Non riuscivo più a dormire perché ci pensavo sempre. E quando sono stato male ho pensato davvero che potesse capitare anche a me”. I fantasmi tornano in estate, Ilicic si ammala e cade di nuovo in depressione.

Quello dello sloveno è solo uno dei tantissimi casi di depressione tra i calciatori, il cui numero è raddoppiato nel 2020. Lo ha reso noto una ricerca della FifPro, il sindacato mondiale dei calciatori professionisti, che ha coinvolto 1.602 atleti di diversi paesi, 1.134 uomini e 468 donne, con una media di 25 anni. Il 22% delle calciatrici e il 13% dei calciatori intervistati ha manifestato “sintomi compatibili con la diagnosi di depressione” mentre oltre il 15% di entrambe le categorie ha parlato di “ansia generalizzata”.

“Nel mondo del calcio, giovani atleti, uomini e donne, si sono ritrovati improvvisamente ad affrontare l’isolamento sociale – ha spiegato il Dottor Vincent Gouttebarge, capo dell’ufficio medico della FifPro – con la loro vita lavortiva e con i dubbi sul loro futuro”. È questa la maggiore ansia per gli sportivi, senza distinzione di età e di sesso. Il fermo imposto dal Coronavirus è stato vissuto come un’accelerazione del tempo che fugge, per chi è avanti con gli anni, mentre è stato sentito come un brusco stop per tutti i giovani in rampa di lancio. Come Finn Kitson, giovane studente della Cambridge University e calciatore del Cambridge Celts. 19 anni, piccolo talento di belle speranze. Non un nome da prima pagina, né un ingaggio milionario. Gli stessi sogni e le stesse paure dei grandi calciatori. Con l’inizio del lockdown Finn si è ritrovato da solo, senza la sua famiglia, senza lo sport e i compagni di squadra. Così ha deciso di togliersi la vita, nel residence per studenti in cui viveva. “Se metti in quarantena dei giovani studenti senza supporto, ti devi aspettare che soffrano di gravi disturbi di ansia” ha dichiarato la sua famiglia.

Problemi simili anche per il mondo del calcio femminile, dove il discorso economico è ancora più grave. “Con le mie compagne parliamo spesso: la nostra paura è il dopo, quando ci sarà il vuoto – a parlare è Elena Linari, difensore della Nazionale Italiana e dell’Atletico Madrid – Non abbiamo mai affrontato il mondo del lavoro, dobbiamo reinventarci. E per una donna che punta tutto sul calcio senza quei guadagni che ti garantiscono il futuro, quel vuoto può essere più pesante. Questa lunga e improvvisa assenza dal campo possa rappresentare un anticipo di quel vuoto che ci fa paura”

Solo in Italia, stando ai dati Istat aggiornati però al 2015, sono 2.8 milioni le persone che soffrono di depressione cronica, ai quali si somma un altro milione di persone con manifestazioni minori. Il totale parla di 3.7 milioni, praticamente il 7% della popolazione italiana superiore ai 15 anni.

Un numero che è ovviamente da rivedere al rialzo dopo gli effetti della pandemia Covid-19. Un numero che deve tenere conto di tutti i settori, di tutte le fasce, di tutti gli ambienti. Anche quello dorato del calcio, apparentemente invulnerabile sotto lo strato dei milioni e della fama. “Se ci fosse attenzione, per il campione, oggi saresti qui” cantava Antonello Venditti nella sua “Tradimento e perdono”. Parlava di depressione, di abbandono, di isolamento. E tra le storie messe in rima c’era anche quella di Agostino Di Bartolmei, indimenticato capitano della Roma che si sparò un colpo al cuore nel maggio 1994. Un calciatore, come Finn Kitson, come Josep Ilicic e come chissà quanti altri.

L’attaccante dell’Atalanta, intanto, è tornato a giocare. Il sorriso sembra quello di sempre, le reti arriveranno. Intanto il gol più bello l’ha già fatto: parlare della sua malattia, chiedere aiuto per il suo disagio, mostrare la sua fragilità. E aiutare tanti altri a fare lo stesso.

di Lamberto Rinaldi