“E tre con ti!”

Primi anni ’50, il fascismo era stato cancellato, si era tornati alle regole democratiche, Allumiere aveva avuto per cinque anni il Sindaco Marino Marini alla guida di una coalizione socialcomunista (come allora si definivano le giunte di sinistra) e poi, secondo le sacrosante regole garantite dalla Carta Costituzionale nata dalla Resistenza, essendo stata sconfitta la coalizione di sinistra, stava assistendo ad un lungo periodo ultradecennale che vedrà alla guida del Comune, fino al 1963, una maggioranza formata da democristiani e socialdemocratici.

Niente di straordinario per quegli anni, almeno dalle nostre parti. La questione religiosa era fortemente sentita e le coalizioni socialcomuniste non erano certamente composte da borghesi, ceto medio ed intellettuali ma da operai, contadini ed anche sottoproletariato che non avevano ancora una forte presa sulla società. Insomma, l’intellettuale collettivo di gramsciana memoria non aveva ancora dispiegato tutta la sua forza attrattiva, che avrebbe visto il suo maggior sviluppo solo alla fine degli anni sessanta ed all’inizio del successivo decennio. Del resto una tale situazione non riguardava solo Allumiere, se è vero che anche a Tolfa, dopo la prima legislatura a guida socialcomunista e presieduta dai Sindaci Tullio Valentini e poi Augusto Bianchi, si era passati ad una maggioranza composta da democristiani e socialdemocratici, mentre nel vicino Comune di Manziana il democristiano Alberto Albicini avrebbe governato per un trentennio (dal 1960 al 1990), così come nello stesso trentennio Riano sarebbe stata amministrata dal DC Elvezio Bocci.

Ed allora, in quegli anni, nonostante una certa liturgia democristiana volesse dare di se stessa una immagine progressista e di autoproclamata e non dimostrata superiorità sociale, arrivando a definire i militanti dei due maggiori partiti della sinistra come feccia comunista o socialista, c’era sempre e comunque una larghissima parte del popolo che voleva mantenere e conservare le proprie origini storiche ed imperterrita dimostrare che la vita, come disse Van Gogh, sarebbe poca cosa se non avessimo il coraggio di correre dei rischi.

Così in un tardo pomeriggio di un venerdì di quegli anni, finito il proprio turno lavorativo, dopo aver percorso i chilometri che intercorrono tra la Cava del Ferro ed Allumiere, uno di quegli operai che svolgevano un lavoro pesante e pericoloso fece sosta al Fontanile, scese dal somaro e si fermò per un periodo di breve ristoro presso la famosa Osteria del Veneziano. O almeno queste erano inizialmente le sue intenzioni. Poi, come spesso avviene, le situazioni prendono una piega diversa dalle nostre aspettative ed il quartino di rosso, che sarebbe servito a calmare la sete ed a ristorare lo spirito, diventò una fojetta e poi un litro. Poi iniziò una sanguigna partita a morra con gli altri avventori e ben presto le scarse disponibilità finanziarie rappresentate dalla paga settimanale finirono tra partite, che lo vedevano regolarmente perdente, e sontuose libagioni. Venne così a trovarsi senza soldi e senza vino! La situazione si presentava dunque in tutta la sua tragicità e, novello emulo del pensiero di Oscar Wilde, decise che era meglio essere protagonista della propria tragedia che spettatore della propria vita; ed allora, convinto che la fortuna sarebbe ben presto girata a suo favore, volle continuare a giocare a morra, puntando l’unico bene che ancora possedeva: il somaro. Purtroppo per lui la scommessa sulla sorte benigna non diede i frutti sperati ed egli si trovò così a perdere anche la preziosa proprietà rappresentata dal somaro.

Adesso il problema era il dover trovare una scusa per giustificare con la moglie la mancanza della paga settimanale e dell’orecchiuto quadrupede. Pensò bene di raccontare di essere stato rapinato da alcuni briganti. Appena aprì la porta che dava sulle scale di casa, la moglie si affacciò e lo apostrofò dicendo: “A bonora arrive! Ho da fa’ la spesa, nun ciò ‘na lira e a buffo nun me danno più gnente.”

“Sta zitta che pe’ strada ho ‘ncontrato du’ birbaccione…” Non riuscì a pronunciare altre parole perché la moglie, che del resto lo conosceva bene e ne sapeva leggere ogni espressione, vedendolo rosso in volto (chiaro sintomo della recente bevuta) lo zittì bruscamente con un “E tre con ti!” che non lasciava margini di discussione. Ma ormai il sospetto si era insinuato nell’animo della moglie, che cominciò a pressarlo con le domande fino a farsi confessare il reale accaduto e la nuda e cruda verità: si era giocato a morra sia la paga settimanale che il somaro! Quella santa donna, con apparente calma, prese il lansagnolo e si avvicinò per dargli la dovuta lezione. Il nostro eroe fece allora ricorso a tutte le sue capacità dialettiche e se ne uscì con una affermazione degna della migliore logica aristotelica: “Voe scommetta che si vincivo e vinivo con du’ sumare ere contenta?”.

Non si hanno notizie in merito alla fine della vicenda ma ogni giudizio è di difficile espressione, atteso l’ammonimento di Luigi Pirandello: “Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo allora mi potrai giudicare.”

di Pietro Lucidi
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