La rivolta femminista…
La rivolta femminista contro le contrizioni religiose, la ribellione dello spirito che prende coscienza e si oppone becero puritanesimo cattolico. La presa di coscienza delle donne (Elmira) ne “Il tartufo” di Moliere, al teatro Quirino di Roma, è una satira mordace sull’ipocrisia, versione attualizzata dal regista Roberto Valerio.
Una commedia politica, sulla ciarlataneria e sul moralismo borghese che, da sempre, si lascia affascinare dai modi affettati e dalla eloquenza spregiudicata. Un j’accuse nei confronti degli imbonitori di qualsiasi epoca. La ridicolaggine del devoto che si scandalizza per una scollatura femminile o rimprovera a se stesso di aver ucciso una pulce recitando le preghiere. Moliere o il suo alter-ego Roberto Valerio, in scena con Vanessa Gravina (Elmira) Giuseppe Cederna (Tartufo) accompagnati da una compagnia di teatranti molto affiatati, riescono con la giusta ironia, a suscitare reazioni sovversive nel pubblico, centrando l’obiettivo che si era posto Moliere qualche secolo prima. Tutto recitato in un gioco di luci e ombre, in cui l’anima o lo spirito più vero è rappresentato da un divano bianco posto in fondo al palcoscenico, protetto da una vetrata trasparente, così come deve essere l’animo umano. Ma tutto si svolge fuori, intorno alla piscina, o in cucina dove i peccati assumono aspetti immorali, ma accolti con la devozione del dogma. Il gioco dell’inganno, nella realtà, trasforma la realtà stessa in assoluzione di quanto non si può assolvere. Moliere, anticipa il pensiero illuminista, lo rende fruibile al pubblico, fa prendere coscienza alle donne, contro le convenzioni e le contrizioni. Il nome “Tartuffe” nel francese antico, indicava un tubero, ma anche la persona disonesta. Come lo è nella commedia, fino all’epilogo. Un epilogo sapiente, dove il regista riavvolge il tempo presentando due finali, nel buio e nella luce. Nello spazio scenico, che diventa una moderna abitazione con giardino e ampia vetrata, l’illuminazione riflette la fredda esteriorità, la mancanza di luce nella condizione di assoggettamento, le tinte fosche dell’ambiguità, non sono altro che l’anima di ognuno, fredda e spenta, che si muove nella oscurità dello spirito. La vera anima ribelle, calda e appassionata, rivoluzionaria, è quella di Elmira, il suo potere enigmatico e la sua complessità fanno di lei la vera protagonista, donna femminile e femminista in grado di sconfiggere l’ipocrisia del dogma e l’immortalità religiosa della Chiesa della inquisizione che bruciava le streghe sul rogo. Elmira rovescia i ruoli, si riappropria della sua vita e illumina la sua famiglia che altri non è che la società addormentata che non vede e non vuole comprendere, oggi come ieri.
di Nicoletta Iommi e Claudio Caldarelli