Storie di un concorso ordinario di follia
Due giorni prima del concorso compio un errore strategico imperdonabile: mi iscrivo al gruppo Facebook “Concorso Scuola – A12 A22”. Codici che, nella mania burocratica di semplificare, stanno ad indicare italiano, storia e geografia nella Scuola Secondaria di primo grado e di secondo grado. Mi iscrivo nel pieno di una crisi di identità del mio studio, che andava avanti tra articoli da scrivere, lezioni da preparare per la mattina e quiz commentati di pomeriggio. Le prove, almeno quelle online, stavano andando bene. Le domande erano folli (ne ricordo una: “A quanto ammontava la percentuale di crescita demografica in Albania nel 2014?”) ma ero abbastanza sicuro che fossero solo per la simulazione, solo per mettere paura e incoraggiare a comprare il libro. Ovviamente non avrebbero mai chiesto cose simili. Ti pare?
Ecco sì, ti pare. Tra i post pubblicati nel gruppo Facebook iniziano a venire fuori i primi exit poll, le prime domande, le prime sensazioni dai turni appena svolti. Brani e poesie da assegnare, date da ricordare, frammenti di opere da riconoscere, leggi da imparare. Percentuali di promossi bassissime. Ok, errore mio: non dovevo iscrivermi al gruppo. Ma in fondo quelle notizie erano reali, quelle domande erano vere. C’era qualcosa che non andava.
Facciamo un passo indietro: il Concorso Ordinario per la Scuola secondaria era stato bandito nel 2020, precisamente il 20 aprile, in piena pandemia. I posti da assegnare erano (sono) 26 mila, le domande presentate 483.583. Un numero che dietro nasconde storie e vite, progetti e speranze, attese. Un numero che, come tutti i numeri, è spietato e muto. Proviamo allora a dare almeno un tocco di vita a quella cifra. Nel mio turno, quello delle 14.30 ma con procedura di riconoscimento dalle 13.30, in fila ci sono 30 persone. C’è una mia vecchia collega dell’università, che ovviamente non si ricorda più di me. C’è una signora di una quarantina d’anni, il volto di chi conosce questi concorsi e sa, purtroppo, come funzionano. C’è un ragazzo che arriva pelo pelo, lascia la macchina in doppia fila, dentro c’è la compagna con il bambino. Sui tavolini del bar di fronte la scuola che ospiterà la prova ci sono ancora due amiche che ripassano, bignami e schemi alla mano. Uomini e donne, ragazze e ragazzi, di ogni età. Vite sospese, in attesa. In ansia per una prova che, stando a quanto si legge nel Decreto Sostegni bis, dovrebbe occuparsi dell’”accertamento delle conoscenze e delle competenze del candidato sulla disciplina della classe di concorso per la quale partecipa, nonché sull’Informatica e la lingua inglese”.
Il test è a crocette, la via più facile per smaltire i 4.276 candidati laziali per la sola classe A22, che di posti ne prevede appena 238, oppure i 4.463 concorrenti lombardi per i 413 posti della A12. 50 quesiti in tutto, 100 minuti, 100 punti totali, 2 per ogni domanda giusta. Il test si passa con un punteggio di 70, basta, “basta”, rispondere a 35 domande. All’interno si può trovare di tutto: 5 domande di inglese e 5 di informatica, in particolare aspetti del PNSD, Piano Nazionale Scuola Digitale, poi il resto diviso tra grammatica, letteratura, storia e geografia. All’interno, in particolare, si può trovare quale Paese concesse alle donne il diritto di voto nel 1918, gli articoli della Convenzione Europea del Paesaggio, la foce del fiume Ebro, il discorso di Montale al Nobel da saper riconoscere, la prefazione di Italo Calvino a Il sentiero dei nidi di ragno, la Guerra del Peloponneso e la data della Battaglia di Sedan, la Pace di Costanza e il saldo migratorio italiano. Risultato? Percentuali, non ufficiali ancora, di oltre il 70% di bocciati. In Puglia, stando ai dati riportati da Il Post, sui 1.600 partecipanti alla chiamata A22, hanno passato la prova in 87, vale a dire il 5,4%. Ed è un discorso da estendere al di fuori delle materie umanistiche: per l’insegnamento della tecnologia sono passati 150 docenti su 2 mila. 80% di bocciati in Friuli-Venezia Giulia, stessa percentuale in Sardegna. Una mattanza.
“Con i test a crocette è anche una questione di fortuna. Il ministro Bianchi accusa la scuola di essere eccessivamente nozionistica e poi bandisce un concorso con una prova che si basa esclusivamente sulle nozioni – spiega Luca Malgioglio, docente – È un sistema inadatto, troppo sbrigativo. Alcune domande hanno risposte incerte, altre imprecise, altre perfino troppo semplici. Sappiamo che per una commissione è più lungo e faticoso correggere elaborati da venti pagine, ma da quel tipo di prove si riesce a capire se davvero un docente ha assimilato la conoscenza e un’idea di come vuole trasmetterla agli studenti”.
Durante i 100 minuti di prova il tempo scorre lento. Si fa tutto al computer, si usa solo il mouse. Finisco le domande in 15 minuti, alcune le sapevo, altre no, ma c’è poco da ragionare. Alzo la mano, chiedo se si può consegnare. “Dovete aspettà la fine”. Perfetto, mancano solo 85 minuti. Inizio così quella girandola infinita, che tutti i manuali e tutti gli esperti di quiz, concorsi e crocette invitano, anzi, proibiscono di fare: cambio le risposte. Inizio ad arrovellarmi sulle domande dubbie, la maggior parte ovviamente. Montale, nel suo brano, cita i mezzi di comunicazione, allora non è il discorso per il Nobel, è sicuramente un articolo pubblicato sul Corriere della Sera. A parlare così, nella Divina Commedia, è ovviamente Pier delle Vigne e non quel Bocca degli Abati che avevo messo. Quel verbo inglese, poi, è di certo “incrementare” e non “aumentare”. Cambio, ripenso, rifletto, mi aggrappo a una parola, a un dato, a un ricordo. È una tortura. A 20 minuti dal termine decido di non cambiare più niente. Ormai è fatta.
Il tempo finisce, la schermata si blocca. È il momento dei risultati. Che, nell’assurdità generale, si scoprono con una procedura assurda, lenta, tortuosa. Il responsabile della prova gira per ogni computer, inserisce un codice, poi una password, e per magia appare sul display il risultato. Sono il primo. Inizio a pensare a quando chiudere gli occhi, quando distogliere lo sguardo. Non faccio in tempo. Preme invio: 70. Sono passato. Con il minimo, sì, ma sono passato. Dei 30 di quel turno sarò l’unico. Mentre la tortura va avanti iniziano ad arrivare i messaggi. Due miei amici, due miei grandi colleghi, hanno fatto 68 e 66. Sono fuori, per una e due domande. Eppure di quei colleghi io so tutto: la preparazione, l’impegno, lo studio. Conosco il loro modo di lavorare, di appassionare gli studenti, di trasmettere valori, di sviluppare spirito critico. Li conosco in un modo che nessuna procedura concorsuale potrà mai appurare, li conosco perché ho studiato con loro e con loro oggi lavoro, fianco a fianco. E non hanno passato il concorso. E come loro ce ne sono tanti in quella percentuale, muta come tutti i numeri, dell’80% di bocciati. Un numero che adesso, però, non può passare inosservato. Un numero che merita una riflessione. “Questo concorso lo abbiamo ereditato dal passato – ha spiegato il Ministro dell’Istruzione Bianchi – sono impegni presi in precedenza che vanno onorati. Questo era l’ultimo passaggio di una storia precedente, che ha dimostrato tutti i limiti, non c’è dubbio”. Eppure lo stesso Governo Draghi, con il decreto del maggio 2021, ha introdotto il test a crocette per tutti i concorsi.
Che crocette siano, allora, ma non di questo tipo. Perché per valutare un insegnante non può bastare, anzi non può servire conoscere dove sfocia l’Ebro. Perché non è questo che entra in classe, non è questo che vogliamo dai nostri alunni. Ed è per questo che il sistema deve cambiare.
di Lamberto Rinaldi