EO: non salirmi in groppa, cadimi dentro

Perché il cinema, inteso come alta forma d’arte, ha bisogno di attingere stili e modi d’espressione inediti, inusitati, mai sperimentati finora? Perché ciò viene via via apparendo alla coscienza umana nel processo storico della sua esistenza non può più essere adeguatamente compreso, espresso nelle precedenti forme. La contemporaneità, soprattutto, mette l’uomo di fronte a contenuti sempre più sorprendenti, e anche inquietanti. E tali contenuti riguardano anche la possibilità che il cinema lentamente tramonti, soppiantato da mezzi tecnologici sempre più avanzati e in continua, rapida evoluzione. Gli ultimi due anni, infatti, segnano un ridimensionamento vertiginoso del medium cinema. La pandemia ha incrementato in tutto il mondo il ricorso alle piattaforme digitali e alle loro mutate offerte di visione, le serie televisive in primo luogo.

Il cinema come forma d’arte, però, fonda la sua capacità scendere nel profondo del nostro esistere, attraverso non tanto il racconto i dialoghi in sé, quanto nella forza delle immagini, nei significati che l’autore riesce a stratificare in esse e a veicolare attraverso esse. Le piattaforme, invece, sono al servizio di altri scopi. Non devono, non possono sondare i nuovi sensi dell’esistenza, ma promuovere soprattutto propaganda  e vendite commerciali ed espandere la loro stessa potenza di comunicazione.  

All’opposto EO (da leggere I-O, il verso di un asino). È un film dalla potenza iconografica, d’immagine cinematografica in purezza, innovativa per forma e contenuto. Qualcosa che neanche nelle migliori serie televisive potrete mai trovare.

Un film – che come ogni vera forma d’arte – non solo dà voce a chi non la ha, a chi viene brutalmente tolta, repressa, ma ci pone dentro l’intimità sensibile degli equini, della cavallinità, per dirla con Platone. È la storia – quasi senza parole – di un asino, di cavalli e altri animali che vagano su camion dalla Polonia all’Italia dopo la chiusura di un circo. Ogni tanto affiorano tranches di storie umane. Tra queste una interpretata da Isabel Huppert che parla con un suo problematico nipote in francese e in italiano. Per la freschezza, l’irriverenza sembra girato da un ragazzo, in realtà l’autore, il polacco Jerzy Skolimowski, ha ottantacinque anni. È stato prodotto dalla

Un capolavoro di fronte al quale impallidiscono tutte le precedenti espressioni cinematografiche. Insieme ad Atlantide, del ravennate Yuri Ancarani, costituisce il più significativo passo in avanti del cinema contemporaneo. Non a caso Atlantide è stato esposto come opera d’arte contemporanea, ossia proiettato più volte al MoMa di New York.

EO è stato insignito del Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes. È stato prodotto dalla casa polacca Skopia Film, insieme a quella italiana Aliens Film, diretta da Eileen Tasca e Mimmo Calopresti. Distribuito in Italia da Arthouse Film.

Riccardo Tavani