COSA PENSARE DI MICHELA MURGIA?

Io non è che conosca bene Michela Murgia, né ho mai letto nulla di suo, tuttavia mi sembra importante, da scrittore e da cristiano, farmi insieme con voi questa domanda: cosa dice Michela Murgia, con la sua vita e la sua opera, alla nostra cultura oggi?

Cosa dice questa scrittrice, in particolare, al cristianesimo del nostro tempo?

Non avendo una sufficiente conoscenza né di lei né dei suoi scritti, credo di poter azzardare una risposta non tanto basandola su un confronto con la Murgia, quanto con le reazioni che la sua morte ha suscitato.

Come sempre, mi pare che le squadre siano due, sia tra i cristiani che in generale.

Da sinistra mi pare si levi un coro unanime di osanna, di esaltazione a-critica, di completa santificazione di una figura che, da quel poco che la conosco, amava forse più generare discussione, dibattito, confronto, pensiero critico.

Da destra, col consueto furore, mi pare si stagliano i paladini “dei valori”, della “famiglia tradizionale”, di una forma di umanità trita, ritrita, violenta, morta e completamente superata.

Mi pare che le reazioni alla dipartita della Murgia ci mostrino chiaramente in quale mefitico stagno morto sia finito il dibattito pubblico del nostro tempo insieme alla cultura di fondo che lo nutre e anima. Questo è il punto.

Lungi da me voler dire la parola definitiva, voler ergermi a giudice del valore di una persona, di un’artista, di una scrittrice: più che altro mi piacerebbe buttare giù qualche spunto per pensare.

Mi pare che Michela Murgia sia stata una persona capace di scrivere con la sua vita e di vivere una testimonianza che cercava sempre di farsi cultura, portando avanti le sue idee con una certa coerenza che gli va riconosciuta.

Così facendo la Murgia mi pare abbia posto in crisi, radicalmente, molti dei pilastri che per secoli hanno costituito le fondamenta della nostra società: a livello relazionale, a livello politico, a livello religioso, a livello familiare, contribuendo così a farci toccare con mano con quanta pazzesca velocità tutto radicalmente stia cambiando.

I valori si trasformano, tutto rapidamente si evolve, cambia: c’è chi accetta tutto e chi combatte per i valori, intanto la vita scorre e non aspetta.

Michela Murgia ha avuto il merito di porre domande, sollevare questioni, e anche la capacità di farlo con una certa forza e con una certa grazia.

Ha cercato di schierarsi dalla parte degli ultimi, dei lavoratori, ha cercato di battersi per i diritti di persone che per millenni sono state considerate sbagliate quando non malate e che ora hanno tutto il diritto di reclamare la propria Voce.

Michela Murgia ha voluto essere ed è stata testimone di tale Voce.

Così facendo la Murgia ha avuto la forza di lasciarci un’opera che è Testimonianza, e che ci richiama all’urgenza di dare risposte migliori, più profonde, più concrete, più efficaci, alle mordenti domande del nostro tempo così in crisi.

La Murgia ci ha indicato con la sua vita e con la sua opera la complessità della nostra esistenza: del Desiderio personale, delle relazioni, della famiglia, del sesso, del lavoro, di Dio, del denaro, del potere, della politica.

Ha avuto il talento, l’umiltà e la capacità di cercare di farlo non rifiutando i millenni che aveva alle spalle, ma tentando di dialogarci, di valorizzarli: penso al suo tentativo di dialogo con i simboli cristiani, ma non solo.

Accettare tutto come se tutto quello che accade fosse sano, non vedendo il rischio di una deriva nichilista che ci riduce a pile che valgono finché consumano e poi marciscono nel nulla di senso, non può durare, non può essere la soluzione;

Parimenti è follia, follia pura barricarsi dietro a un passato che è morto perché quando era vivo ci soffocava corpi, menti, cuori e anime.

Dobbiamo evolvere, scavare, rifiorire, creare.

I primi romantici questo lo cantavano già 300 anni fa: dobbiamo scovare nelle viscere delle nostre vite nuovi miti: quelli di un tempo non reggono più, e così non possiamo restare.

Il merito di Michela Murgia, la sua eredità, sta forse nel non aver mai cessato di testimoniare il suo cammino in questo senso, il suo umile e gentile tentativo.

In questo misero tempo, non mi pare sia poco.

Giacomo Fagiolini

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