La stella di David continua a insanguinare il popolo palestinese

Fois

Gaza, Palestina. Un muro alto 3 m divide due passaggi completamente divergenti: da una parte terreni incolti, aridi, privi di risorse idriche. Dall’altra campi verdi, complessi sistemi di irrigazione, colture fiorenti. Da un lato uomini distrutti, ridotti alla miseria, alla disperazione. Dall’altro si organizzano barbecue, come nei migliori film americani, scrutando l’orizzonte palestinese, cosparso di nuvole di fumo che segnalano morte e distruzione. Se da una parte ci si prepara allo scontro attraverso le migliori tecnologie moderne, con scudi antimissilistici, brandendo armi degne d’una terza guerra mondiale, dall’altra masse di uomini inermi fuggono a bordo di spartani calesse, trainati da buoni o da somari. È questa ultima differenziazione che ci permette di introdurne altre due; da una parte del muro infatti scorrono fiumi di sangue e i morti si contano ormai a centinaia. Le case sono ormai ridotte ad un cumulo di macerie e le scuole pubbliche (quelle rimaste in piedi) ospitano migliaia di persone rimaste senza un tetto. Dall’altro si continua la vita di tutti giorni, si prende la macchina, si va a lavorare, si indossano le Nike, la polo Lacoste, e, a fine giornata, ci si riunisce tutti insieme per assistere alla morte in diretta.

Bombardamenti da parte di Israele, i palestinesi ogni volta contano le loro vittime e feriti. Gli israeliani escono indenni dall’ennesimo conflitto aperto e chiuso da loro stessi. C’è chi ancora crede che questa guerra, che si perpetua ormai da decenni, sia una guerra tra palestinesi ed israeliani. In realtà ci sembra molto più logico affermare che questo conflitto si giochi in realtà tra il gruppo Hamas e le forze armate di Israele. Il popolo palestinese, oppresso ormai da un secolo, è ridotto ad un quinto del proprio territorio ed è ormai davvero stanco. Dopo essere stato perseguitato in patria, in Cisgiordania, il Libano, tutto ciò che chiede ai propri leader ed al mondo intero è soltanto pace. La pace vera, non la quiete dopo la tempesta. La tranquillità di poter veder vivere i propri figli e le proprie madri, di poter costruire finalmente qualcosa. La libertà, in poche parole, da questa gabbia di sabbia nella quale sono stati rinchiusi sin da piccoli.

Il mondo occidentale deve finalmente rendersi conto di quali siano le sue responsabilità, conniventi con gli intenti criminali dello stato ebraico, ciechi di fronte a questa realtà. La realtà di un popolo che, al pari di un branco di cani chiusi in un recinto, aspettano l’apertura dei cancelli. Cancelli che per ora sono stati sempre aperti e richiusi soltanto dai carnefici armati di bastoni tuonanti.

di Giovanni Antonio Fois

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