La Quinta Sponda

Nelle ultime settimane – per coincidenza a circa un anno dal tragico naufragio di Cutro, nel quale persero la vita poco meno di cento persone – il Parlamento italiano e quello albanese hanno ratificato in via definitiva il protocollo, stipulato nel mese di novembre tra i Governi dei due Paesi, finalizzato al rafforzamento della collaborazione in materia migratoria. 

L’accordo prevede la costruzione di due strutture in territorio albanese destinate ad ospitare, per un tempo limitato, i migranti salvati in acque internazionali da navi militari italiane. Nella prima struttura i migranti saranno identificati e le loro domande di asilo esaminate e valutate dalle Autorità italiane; nella seconda, equivalente a un CPR (centro di permanenza per il rimpatrio), coloro la cui richiesta sarà stata respinta verranno trattenuti fino al rimpatrio. 

Le due strutture potranno accogliere complessivamente non più di 3.000 persone contemporaneamente, soltanto uomini adulti – escluse quindi le donne, i minori e i soggetti fragili – per un periodo non superiore a 18 mesi (il massimo previsto dalla vigente normativa europea e italiana). La giurisdizione nei due centri sarà interamente italiana, restando affidata all’Albania soltanto la sorveglianza esterna, anche al fine di impedire eventuali fughe. L’Italia dovrà provvedere ai rimpatri di coloro ai quali non sarà stato riconosciuto il diritto di asilo; dovrà poi, in ogni caso, riportare nel proprio territorio tutti i migranti alla scadenza del termine di 18 mesi sopra indicato.    

Il tutto sarà realizzato e gestito a totale carico dell’Italia, con costi evidentemente molto superiori a quelli che si dovrebbero sostenere per analoghi centri realizzati o da realizzare (Regioni ed Enti locali permettendo) nel nostro Paese. Si deve infatti presumere che in questi centri dovranno trasferirsi tutte le strutture e gli operatori italiani (forze dell’ordine, operatori sanitari e umanitari, interpreti, intermediatori ecc.) cui è attribuito il compito di svolgere tutte le svariate attività necessarie per l’assistenza, l’identificazione, l’acquisizione e l’esame delle richieste di asilo, per non parlare delle procedure giudiziarie (presso quali tribunali, con quali magistrati, con quali avvocati?) relative agli eventuali ricorsi, e così via.

L’Italia poi, in aggiunta alle spese – già piuttosto elevate – connesse alle attività di propria competenza, pagherà, entro 90 giorni dall’entrata in vigore dell’accordo, la somma di 16,5 milioni di euro all’Albania “quale anticipo forfettario dei rimborsi dovuti” per il primo anno. 

Prima delle ratifiche, il protocollo Italia-Albania era stato sottoposto al parere della Commissione europea, dalla quale, al momento, è pervenuta solo una dichiarazione della commissaria agli Affari interni secondo la quale “la valutazione preliminare del nostro servizio legale è che non si tratta di una violazione del diritto dell’Unione europea, ma di una materia al di fuori del diritto comunitario”; dichiarazione motivata (se ho ben compreso) dal fatto che l’accordo si applicherebbe esclusivamente ai salvataggi effettuati al di fuori delle acque territoriali italiane o degli altri Stati dell’UE. Io non so (non ho la competenza necessaria) se tale parere preliminare sia sufficiente come “via libera” all’operazione o se invece occorra una deliberazione ufficiale, al momento non intervenuta: si può quindi ancora sperare che l’Europa non dia il proprio benestare a quella che considero una vera e propria deportazione e un’inutile vessazione.

Vi sono state, d’altra parte, numerose prese di posizione fortemente contrarie al protocollo, ritenuto lesivo dei diritti umani e contrario alle convenzioni internazionali, in particolare – ma non solo – da parte di autorevoli esponenti della Chiesa cattolica.

Ma, sorvolando sui problemi giuridici e morali (e sui costi che, per quanto detto prima, si prevedono assolutamente spropositati), quali sarebbero, in concreto, gli effetti positivi dell’accordo ai fini della risoluzione dei problemi legati al controllo e alla gestione del fenomeno migratorio?

La mia risposta è che, in primo luogo, non si vede alcun motivo per cui – come sembrano sostenere i fautori dell’iniziativa – sarebbe più facile e veloce portare a compimento le espulsioni di coloro che non hanno diritto all’asilo se queste sono ospitate in un CPR situato in Albania anziché in Italia, posto che tutte le procedure dovranno essere svolte esclusivamente dalle Autorità italiane e secondo le leggi italiane. In realtà, il principale ostacolo ai rimpatri, che finora sono stati molto pochi, è la difficoltà di stipulare accordi al riguardo con i Paesi di provenienza dei migranti. 

A questo proposito, dai dati forniti da Eurostat risulta che, nei primi sei mesi del 2023, l’Italia è riuscita a rimpatriare solo il 12,3% delle persone migranti alle quali ha negato la protezione internazionale, percentuale che rappresenta un miglioramento rispetto al 9,9% registrato nel 2022, ma che rimane pur sempre molto bassa. Appare poi assai poco credibile la previsione del Governo di completare tutte le pratiche di identificazione ed espulsione in soli 28 giorni (oggi si impiegano vari mesi), cosa che consentirebbe di far transitare in Albania circa 39.000 persone all’anno, contro le oltre 157.000 sbarcate in Italia nel 2023. È invece ragionevole pensare che difficilmente potrebbero essere inviati annualmente in Albania molti migranti in più rispetto ai 3.000 pattuiti come numero massimo di presenze; l’operazione avrebbe quindi scarsissima rilevanza nella gestione del fenomeno migratorio. Inoltre l’impossibilità pratica di espellere tutte le persone detenute nei centri farebbe sì che molte di esse dovrebbero, alla scadenza dei 18 mesi, essere riportate in Italia, con ulteriore aggravio dei già ingenti oneri.

In conclusione, la prospettiva del trasferimento (o deportazione) in Albania potrebbe costituire, tutt’al più, un deterrente nei riguardi degli arrivi via mare, anche se ritengo che l’effetto sarebbe estremamente limitato, considerati gli enormi disagi e i pericoli mortali che i migranti sono disposti ad affrontare nei loro viaggi.

Per contro, l’unico vero “vantaggio” per noi sta nel fatto che, in questo modo, un certo numero di persone sventurate e bisognose di aiuto sarebbero tenute lontano dai nostri occhi e dalle nostre coscienze; in aggiunta, che chi riuscisse ad evadere dalle strutture di detenzione si ritroverebbe in territorio albanese, quindi non turberebbe la nostra tranquillità.

In ogni caso, con questa operazione si otterrà – questo è certo – un risultato positivo, almeno per alcuni dei nostri attuali governanti: si rinnoveranno, in qualche misura, i fasti di un’epoca gloriosa ma breve, nella quale Vittorio Emanuele III di Savoia era Re d’Italia e d’Albania, nonché Imperatore d’Etiopia, e la costa orientale dell’Adriatico era la “Quinta Sponda” del nuovo Impero di Roma. 

Adolfo Pirozzi

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