Tornerà a crescere l’erba.

Dormire per terra nella palestra di Penne con una bandana sugli occhi per non vedere la luce, mangiare in piedi, usare un bagno di fortuna, occuparsi delle cose più semplici come vuotare i secchi dell’immondizia, pulire i pavimenti, compilare le tabelle dei turni: molti l’avrebbero fatto pur di dare una mano al gruppo dei soccorritori dell’hotel Rigopiano sepolto dalla neve. Tutti noi, popolo degli sciatori, schiere di camminatori di gruppo o solitari, che andiamo per vette d’inverno e d’estate, che abbiamo ripiegato nell’armadio almeno un paio di pantaloni da alpinismo, avremmo voluto essere lì dove tutto serve, dove tutto manca tranne la speranza. Ma la gestione dell’emergenza richiede estrema professionalità e a noi “dilettanti” non resta che stare a guardare. Ed eventualmente pregare, ché pregare male non fa.

Quel che vediamo stando a guardare è l’impegno massiccio e incessante di uomini e mezzi per strappare alla neve i vivi e i morti, e questo eroismo ci contagia. Per contro le notizie che scoccano veloci sui mezzi di comunicazione rivelano tutta una serie di errori umani che si sarebbero potuti evitare, errori a monte di tutto: dell’emergenza neve, del terremoto, dell’hotel, della sua storia e della sua posizione. E se da un lato applaudiamo gli eroi dall’altro annotiamo gli errori e riempiamo le fosse col senno di poi, per dimenticarle in fretta.

Nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso, a 1200 mt di altitudine, con il mare di fronte, c’è un resort in cui nulla è lasciato al caso…”

Si presentava così, l’Hotel Rigopiano, sul suo account di twitter: un resort in cui nulla è lasciato al caso. Invece l’hotel Rigopiano intralciava consapevolmente una strada segnata da millenni nelle pieghe della montagna, il canale di una slavina. E la montagna, che per sua natura è indifferente ai casi umani, ha deciso senza preavviso di riprendersi la strada che da sempre le appartiene, scaricando a valle tonnellate di neve e rocce e piante, portandosi via l’albergo intero e la vita di chi -dentro l’albergo- non ha avuto fortuna.

Non è il clima, non è la neve, non è la montagna ad esserci ostile: il nostro nemico siamo noi. La tragedia di Rigopiano si sarebbe potuta evitare, ma il genere umano vive in eterne contraddizioni, non fa tesoro dei propri errori, di generazione in generazione eredita prima gli sbagli e poi i sensi di colpa per aver perso la memoria: dimentica che la montagna che incanta può rivelarsi amara da amare e coi suoi repentini cambi d’umore può essere violenta e diventare un perenne castigo. La terra ha i suoi comandamenti, ” la disciplina della terra sono i padri e i figli, i cani che guidano le pecore, tutti quei nomi dimenticati sotto la mano sinistra dei suonatori “.

Per evitare le tragedie è necessario ricordare.

La memoria è saggezza e non serve aspettare.

La storia dell’hotel Rigopiano coi suoi morti innocenti dovrebbe insegnarci una volta per tutte che la differenza tra la vita e la morte dipende da quanto siamo capaci di incorporare i fenomeni naturali nel nostro orizzonte culturale.

Tornerà a crescere l’erba.

Fra qualche mese si scioglierà la neve che d’inverno cancella i sentieri dei pastori e le avventure dei cacciatori. A primavera si scopriranno di nuovo immensi prati verdi e sul Gran Sasso, nella piana di Campo Imperatore, compariranno ancora i cerchi delle streghe, i disegni magici dei pascoli. Tornerà a crescere l’erba.

Sarà per coprire la sofferenza di quei luoghi e forse, prima o poi, per imparare a non ripetere gli stessi errori.

 

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