Il peso della famiglia: la strage di Acerra

Nelle associazioni mafiose la famiglia è un concetto fondamentale, l’anello principale della catena. È IL concetto, il termine che designa la gerarchia di cui si riconosce un capo ma soprattutto l’idea che rimanda all’affinità e al legame tra le persone che il gruppo mafioso compongono. Va dunque oltre il puro legame di sangue, ma lo stesso ha un suo peso all’interno della famiglia, perché un gruppo più o meno esteso di consanguinei appartiene alla famiglia mafiosa a prescindere dal ruolo e dal peso che si ha. E si è legati al destino della famiglia più grande, quella mafiosa, anche se con l’illegalità non si ha nulla a che fare.
Questo lo sapeva bene, o forse no, Vincenzo Crimaldi, quarantaseienne di Acerra, nel napoletano, padre di famiglia, ex operaio, coltivatore diretto. Una moglie, tre figli, un nipotino in arrivo. E un fratello: Cuono Grimaldi, boss della camorra locale, che nei primi anni novanta entra ed esce di galera. Vincenzo non è coinvolto nelle attività del fratello, ma la famiglia è al di sopra dei traffici, il sangue lega due persone comunque. Negli anni delle lotte mafiose si uccideva indistintamente per ogni pezzo di terra, per vendicare ogni cosa: ad Acerra, a Cuono Grimaldi si contrappone il clan di Mario di Paolo, che assiste all’omicidio del fratello e si vendica colpendo la famiglia del nemico. E così, nella sera del primo maggio del 1992, la strage. Vincenzo Crimaldi stava per consumare la cena insieme alla moglie Emma Basile, i figli, il genero, un amico del figlio quindicenne Domenico. Un’auto si ferma davanti la casa e due killer fanno irruzione sparando colpi a ripetizione che uccidono Vincenzo e la moglie, i primi due figli e Pasquale Auriemma, il ragazzino che quella sera era soltanto un ospite. Si salvano per puro caso Domenico Crimaldi e Cuono Albachiara; l’eccidio viene scoperto solo qualche ora dopo, per caso, a causa del fumo proveniente forse dai fornelli rimasti accesi.
L’indifferenza verso una strage considerata come un regolamento di conti di prassi. Pagare con la vita le colpe di altri, portare come un peso un legame di sangue. Quando la famiglia uccide.

Di Giusy Patera

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