Meglio la strada

Meglio la strada. Per scelta di vita o per costrizione degli eventi della vita in molti preferiscono rimanere per strada anche in inverno. Uomini e donne che vogliono rimanere in strada, nonostante tutto. Costretti a vivere una vita disagiata. Non hanno accettato il trasferimento nei dormitori. Preferiscono restare in strada, mentre ci sono posti vuoti nei dormitori. Pur accettando coperte, vestiti e pasti caldi, hanno preferito rimanere per strada.

Anche stanotte, come ogni notte, molti dei senza casa raggiunti dagli operatori del Comune e dalle associazioni di volontariato non hanno accettato il trasferimento nei dormitori. E vanno vagando o trovano un riparo. Ci sono alcuni che nonostante il freddo, il gelo e poi la neve, non riescono a superare quella linea di frontiera che un po’ li separa dagli altri per mille motivi, peraltro non banali, preferiscono stare per strada. I senza fissa dimora passano la notte accampati nei punti più riparati dalle intemperie. Rimangono, loro malgrado, perversamente attaccati alla strada, anche d’inverno.

In strada riscopri gli istinti più primitivi: il primo pensiero è mangiare, poi coprirsi e dormire. Non in dormitorio, però. È un quotidiano vissuto nella difficoltà, una vita difficile in cui occorre inventarsi sempre qualche cosa di nuovo per sopravvivere e per accettare la realtà sgradevole, un’esistenza ai margini. Una vita in cui non si scarta nulla, ma si “preleva” dal cassonetto. L’arte dell’arrangiamento è la prima regola di vita. Il rifugio dove vivere e dove ripararsi, in caso di intemperie o di notte.

Il freddo è il nemico numero uno per i disagiati. Non trovano di meglio che un cartone per potersi riparare dal freddo durante il riposo notturno trascorso su una panchina o sotto i portici. Per i vestiti non esistono grandi problemi di sorta. È sufficiente rovistare nei cassonetti della spazzatura o, meglio ancora, in quelli dedicati alla raccolta degli indumenti usati: lì si troverà senz’altro qualcosa di utile. Sono infagottati di stracci, carichi di sacchetti al cui interno c’è tutta la loro “ricchezza”, quello che racimolano in giro come scarti di cibo, stracci, scarti inutilizzati dalla società e cartoni per ripararsi.

Vite prive di qualsiasi cosa, materiale o affettiva, non hanno nessun punto di riferimento se non una panchina o un portico per passare la notte. Vite di uomini e di donne, molti di loro anziani, ma anche di giovani. Vite di persone che hanno scelto un’esistenza basata sulla libertà, ma soprattutto di persone ammalate, disconosciute dai familiari, tossicodipendenti, ex carcerati o pazienti dismessi dai manicomi. Ci sono però anche disoccupati, immigrati, sfrattati, emarginati per gli innumerevoli casi della vita. Tutte persone cadute in disgrazia. Sono costretti ad umiliarsi per chiedere un pezzo di pane oppure qualche spicciolo, poiché dalla vita, nella loro vita, non hanno ricevuto nulla, oppure il destino ha voluto prendersi gioco di loro, volontariamente o meno.

I senzatetto, una popolazione affacciata sul vuoto a ridosso di un abisso pieno di dolore e povertà. Le storie sono tante. Sono storie di strada, di vita randagia, di sopravvivenza alla giornata. Storie di chi ha perso il lavoro, non riesce più a pagare l’affitto, e si ritrova senza casa. E così rimane nel limbo. Storie di chi è arrivato in Italia dal suo paese d’origine. Ha vissuto anni dormendo per strada. Storie di persone che guadagnavano bene, prima di perdere tutto. Prima la perdita del lavoro, poi l’assottigliamento della rete sociale e, infine, l’allontanamento degli affetti trascina con sé una spirale fatta di distaccamento, di perdita dell’autostima, di auto-isolamento, fino all’indigenza. Quindi il vuoto. Dopo aver toccato il benessere ricominciare diventa difficile, a partire dalla condivisione degli spazi. Da qui il rifiuto di ripararsi nelle strutture collettive. Storie di uomini, giovani italiani e disoccupati, che per anni hanno dormito per strada subendo anche diverse aggressioni. Storie di senzatetto fra vecchie coperte distese sui marciapiedi e mille rimpianti.

Alcune sono scelte di vita, altre sono drammi di vita. Diventare un barbone è un attimo, un inciampo, una fatalità. Un inciampo, una fatalità e tutto si trasforma, l’esistenza deraglia. Quando la vita ti butta sulla strada.

Com’è vivere in una macchina? Dove ci si fa la doccia? Che cosa significa essere senzatetto in inverno? C’è chi non ha paura del freddo, pur sapendo che malgrado coperte e sacchi a pelo potrebbe non svegliarsi il giorno dopo. Ma di andare nei dormitori non ne ha assolutamente intenzione. Sono tanti i senzatetto che preferiscono la strada. Qualcuno dorme sotto i portici, altri cercano rifugio in stazione, altri si rifugiano in qualche fabbrica dismessa, accendendosi un falò. Alcuni scelgono volontariamente la strada perché non accettano le regole dei dormitori. C’è chi dorme nei giardini pubblici, in casette dei giochi dei bambini. Ha lo stomaco che brontola, fa molto freddo ma non ha intenzione di tornare al dormitorio. Meglio la strada. Meglio, per molti la libertà e il rischio di essere aggrediti, piuttosto che le regole del dormitorio. Alcuni si sentono più liberi fuori: si riempiono di coperte e tirano fino a mattina.

Chi ci vive per strada e chi ci viveva…

Non ce l’ha fatta a superare il freddo di questi giorni, non ce l’ha fatta a superare la notte. Con l’arrivo della brutta stagione, dormire in strada, al gelo e senza assistenza non ce l’ha fatta. Un clochard di 52 anni, che per i casi della vita si è ritrovato a dormire per strada, passando le notti sui letti di cartone, sdraiato sotto le coperte, non ce l’ha fatta. È stato trovato cadavere in una ex fabbrica a Mantova dove aveva ricavato un alloggio di fortuna. La vittima è Ben Abdelkader, tunisino, da anni a Mantova. L’uomo aveva problemi di alcol ed era malato. Era seguito con molte difficoltà dai servizi sociali del Comune. A scoprire il cadavere, martoriato dai topi, un connazionale che ha dato l’allarme.

Un senzatetto probabile vittima del freddo di questi giorni. Un clochard morto assiderato. Una tragedia del freddo e della solitudine a Mantova. Nella notte, in particolare, la temperatura è scesa di diversi gradi sotto lo zero. E in quella zona, molti clochard cercano riparo con sistemazioni di fortuna, tra cartoni e coperte di lana, nonostante i tentativi dell’amministrazione comunale e dei volontari di convincerli ad accettare un posto in uno dei dormitori che sono messi a disposizione di chi vive in strada. Invito non ascoltato da tutti coloro che quotidianamente preferiscono restare in strada. Meglio la strada come il suo posto abituale, e si capisce da tutta la roba che aveva lì accanto. Scelta che si è rivelata fatale nella notte di gelo intenso. L’ondata di neve e gelo ha mietuto una nuova vittima. A Mantova un senzatetto è stato trovato morto assiderato all’interno di una ex fabbrica dove cercava di ripararsi dal freddo. Purtroppo il riparo non l’ha salvato. È finita così questa sua vita di strada.

Vivere per strada è usurante, per il corpo e per i nervi, ma risalire la china è sempre possibile. Rimane la difficoltà di chi ha perso tutto e deve ricominciare. E per ricominciare, serve un tetto, occorre trovare un sostegno e recuperare dignità e senso di sé.

Qualunque termine si voglia usare: clochard, barbone, senzatetto, non rende appieno l’idea. Al giorno d’oggi ci sono parecchie persone in precarie condizioni di vivibilità. Solo che non se ne parla più di tanto. Non si dà voce ai tanti che finiscono annientati nel più totale mutismo. Tutte queste categorie di persone dovrebbero essere uno scossone al nostro intorpidito senso di giustizia. La poca dignità, la poca attenzione che il mondo della politica ha dato nei confronti di questo problema. A loro difesa, spesso basterebbe poco per restituirgli dignità, un senso per vivere: un lavoro per un disoccupato, una cura per chi è ammalato o drogato, una stanza per chi la casa l’ha persa.

di Maria De Laurentiis

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