Vota Antonio-vota Antonio-vota Antonio

L’esercizio del voto è uno dei diritti delle moderne democrazie, parenti molto alla lontana dell’antica istituzione ateniese.
Nell’antica città greca infatti, avevano diritto di voto tutti i cittadini maschi, liberi e adulti. Le donne ne erano escluse.
Lo stesso accadeva a Roma, durante il periodo della Repubblica, che va dal 509 a.C. al 27 a.C.
I cittadini erano tenuti ad esprimersi sulle leggi proposte, sull’elezione dei membri degli organi politici e su alcuni tipi di reati.
Le elezioni avevano luogo in dei giorni particolari, detti comitiales. 
Colui che intendeva candidarsi per qualche incarico pubblico, aveva l’esigenza di mostrarsi in pubblico (il luogo più indicato era il Foro) e di elargire regali e favori per ottenere i voti necessari. Oggi si chiama voto di scambio, ma è interessante notare come alcune cose siano rimaste inalterate nei secoli.
Una prova di questa pratica è in alcune coppette molto interessanti risalenti al 63 a.C. circa.
Una menziona il famoso Catilina, appoggiato da Cassio Longino, uno dei partecipanti alla famosa congiura ordita dal primo; l’altra fa cenno ad un Marcus Cato, che cercava di ottenere la carica di tribuno della plebe. In questo caso si tratta di Catone   Uticense, che si contrapporrà successivamente a Cesare, negli anni della sua inarrestabile ascesa.
Queste ciotole conteneva frutta e poi probabilmente dolci leccornie, e venivano distribuite per ottenere il maggior numero di voti.
Sempre nel 63 a.C, a Roma è coniata una moneta in argento, un denario, che raffigura al verso un cittadino romano nell’atto di votare. Sulla “scheda” vi è la lettera V (cioè U) che sta per “uti rogas”, ovvero “come (tu) chiedi”, in segno di approvazione di una proposta. In caso di voto non favorevole si scriveva una A, per “antiqua probo”, che significava netto rifiuto per la proposta.
di Fabio Scatolini
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