Oscar Romero, santo universale

Il 24 marzo di 40 anni fa veniva assassinato l’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero “voce dei senza voce”.

Le sue ultime parole, all’offertorio mentre diceva messa, prima che echeggiasse nella cappella dell’ospedaletto oncologico (dove viveva) lo sparo di un franco tiratore che lo colpì al cuore furono: “Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire corpo e sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo…”

Un anniversario mesto, considerate le drammatiche circostanze che il mondo oggi sta vivendo.

Tuttavia, celebrare il martirio di colui che fu la “voce dei senza voce” proprio ora risulta un atto ancora più significativo e rilevante, se non addirittura necessario.

Lui, storicamente conservatore, era amico dei presidenti e delle famiglie dell’oligarchia che per sentirsi in pace con la loro coscienza sgualcita, gli elargivano cospicue beneficenze date poi da Romero ai peones del paese, schiavizzati nelle piantagioni di caffè, zucchero e cotone.

“Gli ultimi” che ad un certo punto, stanchi della tirannia e delle vessazioni cui erano sottoposti sono esplosi, ribellandosi inermi al secolare schema coloniale oppressore. Tutto questo scatenò la ferocia inaudita dei latifondisti i quali, spalleggiati dal potere militare ed ecclesiastico, dettero inizio ad una vera e propria repressione sanguinosa che oltre ad essi, prese di mira anche sacerdoti, monache e tutti coloro che erano delegati della parola e messaggeri di pace.

Bastava avere una Bibbia sotto il braccio per essere assassinati dagli squadroni della morte orditi dall’impunito ex maggiore Roberto D’Aubuisson, all’insegna del “sii patriota, ammazza un prete”.

L’uccisione nel marzo ’77 del gesuita Rutilio Grande, intimo amico di Romero, fu la goccia che fece spalancare definitivamente gli occhi all’appena nominato metropolita della capitale salvadoregna.

Monseñor  aveva 59 anni e da quel momento ruppe ogni ossequio verso le 14 famiglie proprietarie in San Salvador. Così, nelle sue affollate omelie (tutte registrate e raccolte in sei volumi), si appellava affinché fossero i possidenti a riconoscere direttamente un giusto salario ai loro lavoratori. In un’America Latina allora sottomessa a violente dittature militari.

Nei suoi appena tre anni alla guida dell’arcidiocesi Romero istituì l’Ufficio di Soccorso Giuridico, che fece di lui un precursore nella lotta per i diritti umani.

Non è quindi un caso se nel 2010 le Nazioni Unite abbiano istituito il 24 di marzo come Giornata Internazionale per il Diritto alla Verità.

Tornando ad Oscar Arnulfo Romero, va ricordato un episodio che più di altri ci aiuta a capire l’uomo rivoluzionario che era, pronto a tutto pur di salvaguardare gli ultimi, i più deboli, pur di garantire verità e giustizia. Ebbene quando un giornalista gli chiese se avesse paura in quel contesto che sembrava essersi stabilizzato, lui rispose: “Paura vera e propria no; un certo timore prudenziale… ma che non mi condiziona nelle mie attività. Dio è con me. E se qualcosa dovesse succedermi sono disposto a tutto”.

Romero aveva tutti gli altri vescovi salvadoregni contro (tranne uno, Mons. Rivera y Damas). E soprattutto gli era ostile una fetta potente della curia romana, salvo Paolo VI che lo incoraggiò.

La solitudine di Monseñor subì un peggioramento con l’arrivo di papa Woytjla apertamente anticomunista provenendo lui dalla Polonia. Non a caso il suo primo viaggio da Pontefice, a soli tre mesi dall’elezione, lo fece a Puebla (Messico) alla III Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano, con l’intento di arginare quella “sovversiva” teologia che venne poi azzerata nell’arco di pochi anni.

L’arcivescovo Romero fu delegittimato da Giovanni Paolo II nel suo primo incontro in Vaticano nel maggio successivo, dove fu seccamente invitato a trovare un impossibile modus vivendi con il governo militare salvadoregno. Anche se poi il papa polacco non raccolse le pressioni intorno a lui per esautorarlo con l’invio di un “amministratore apostolico”.

Ma inesorabilmente l’anno successivo fu ammazzato sull’altare. Persino i funerali furono profanati da una carneficina dell’esercito nella piazza della cattedrale, mentre immediatamente dopo scoppiò una dolorosa guerra civile che Oscar Romero aveva tentato in tutti i modi di scongiurare.

A quanto pare doveva arrivare il primo pontefice latinoamericano per operare un vero e proprio risarcimento. Infatti, solo dopo un mese dalla sua nomina, nell’aprile 2013, Papa Bergoglio diede disposizione di riprendere in mano la pratica di canonizzazione di Oscar Romero in quanto primo martire in odium fidei (odio alla fede) assassinato da altri cattolici che proprio con quel delitto intendevano rivendicare la propria cattolicità. Canonizzazione poi culminata in piazza San Pietro il 14 ottobre 2018 non a caso insieme a quella di papa Montini.

Un atto che ha chiuso come era dovuto l’intero ciclo della vita di Romero ma anche la parabola di una Chiesa che si era persa

Il 30 ottobre 2015 il papa argentino così si espresse nella Sala Regia vaticana ai pellegrini salvadoregni lì riuniti: “Il martirio di Mons. Romero non fu solo nel momento della sua morte, perché una volta morto… io ne fui testimone da giovane sacerdote…, fu diffamato, calunniato, insudiciato. Così che il suo martirio è continuato, anche per mano dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato”.

adi Stefania Lastoria

Print Friendly, PDF & Email