Tra i tanti segreti che Roma custodisce, c’è il segreto dei segreti. Il suo nome

Giovanni Pascoli, nel suo “Inno a Roma” gli attribuì il nome segreto di Amor.

Roma letta al contrario, e anche il nome sacro di Flora. Conside­rando che Amor era legato alla dea Venere e Flora alla dea dei fiori e della natura. Ma, Pascoli la fece un po’ troppo semplice. Il mistero, il segreto di un nome è ancora oggi da svelare.

Gli storici, sono discordi tra loro. È luogo comune attribuir­ne a Romolo l’origine, visto che era il suo fondatore. Ma se così fosse stato e se questa era l’opi­nione giusta, Roma si sarebbe dovuta chiamare Romulea. Infatti, era il nome della tribù a cui faceva capo quel territorio. Con tutta probabilità è vero il contrario. Romolo deriva da Romulea. Un bel rompicapo. Si dice che, invece il nome derivi dalla lingua di un popo­lo antichissimo, i Pelasgi. Un popolo alleato dei troiani. Enea e i suoi, che sbarcarono sulla costa di Roma, erano troiani.

Un’altra ipotesi è che il nome della città derivi da Ruma. Cioè mammella. E se si pensa a Ro­molo e Remo e al loro singolare allattamento da parte di una lupa, ci potrebbe stare. Ma non convince neanche questo. Op­pure potrebbe derivare dall’an­tico nome che aveva il Tevere, Rumon o Rumen. Che connes­so con il verbo greco, reo, cioè scorrere, potrebbe significare, città del fiume. Ma la credenza è quella che Roma aveva un nome segreto. Tanto che nes­suno doveva pronunciarlo. Uno storico del III sec. d.C, afferma­va che il vero nome di Roma, non era mai stato svelato. I soli ad averne conoscenza erano i capi dello Stato. Il suo nome veniva tramandato, trasmetten­dosi il potere.

Solo il Pontefice Massimo, poteva pronunciarlo e solo durante il sacrificio ri­tuale. Pronunciare il suo nome vero, al di fuori di celebrazioni religiose, era ritenuta una offe­sa, un sacrilegio. Chiunque lo avesse fatto, era considerato un malvagio. Ma Valerio So­rano, tribuno della plebe, lo svelò. Accennò, ad una antica divinità, festeggiata al solstizio d’inverno, Angerona. Il suo simulacro, ha la bocca sigillata da una benda. Il che fa alludere al fatto di non rivelare il segre­to. Il tribuno Valerio fu ucciso.

Forse è questo segreto, che ha dato a Roma l’eternità. Che ha fatto sfidare, nei secoli, le inva­sioni e le distruzioni. Più volte vicina al crollo. Eppure, l’im­pronta di una volontà divina, l’ha sempre protetta. Forse si credeva che se il suo vero nome veniva svelato, il nemico poteva gettare una sorta di maledizione sulla città. Plinio narra, che anche i romani, quando assali­vano una città, ne invocavano la sua divinità protettrice. Pro­mettendogli un culto maggiore. Mantenere il nome di una città, avvolto nel mistero, era una antichissima usanza italica. Di Roma non solo non si doveva conoscere il nome della sua divinità tutelare, ma nemmeno il sesso. Sul Palatino si venera­va una divinità, quella di Pale che veniva evocata come dio e come dea. Sempre su questo colle venne eretto il tempio a Cibale, la madre degli dei, che secondo un mito orientale era in origine androgino. Roma oggi è soffocata dallo smog e dal traf­fico. La sua divinità protettrice e segreta, ha un bel da fare.

di Tommasina Guadagnuolo

 

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