L’Inferno dei nuovi Lager

Avrei voluto passare la fine dell’estate 2016 a Lampedusa, a fare volontariato.

Alla fine, a pochi giorni dalla partenza, fui costretto per ragioni personali a rinunciare a quel viaggio, e a passare quei giorni di fine agosto in una Roma rovente. Deciso comunque a non rinunciare all’esperienza di volontariato mi misi a cercare qualche Onlus o associazione che aiutasse i migranti su Roma, ed entrai in contatto con i volontari di Baobab Experience, che ospitavano centinaia di migranti transitanti nel loro presidio di via Cupa, a due passi dall’Università La Sapienza. Passai i 15 giorni che avrei dovuto passare a Lampedusa lì al presidio a dare una mano. Fu durante quei giorni che ascoltai racconti sui Lager libici e sui viaggi impressionanti che avevano portato quei ragazzi fino a Roma direttamente dalle loro voci. Racconti allucinanti, che non potrò mai dimenticare. Samuel, che veniva dalla Nigeria, mi raccontò cosa significasse contrattare un biglietto per attraversare il mediterraneo sui barconi. Il costo spropositato, la violenza contro le donne, i minori non accompagnati. Mi disse che gli arabi, nei pressi di Tripoli, lo avevano quasi ammazzato e lasciato in un fosso per via del rosario bianco che lui non aveva la minima intenzione di togliere, perché era l’unica cosa che gli ricordava chi era. Adam, che veniva dal Darfur e parlava a stento qualche parola d’inglese, mi raccontò il suo viaggio della morte sul gommone, mi disse della miscela micidiale di acqua salata mista al carburante che lasciava ustioni dolorosissime sulle gambe, e di aver visto una donna morire per averne bevuta troppa.

David, soprannominato King Dave, anche lui proveniente dalla Nigeria, dalle zone più colpite da Boko Haram, mi raccontò del viaggio allucinante che dovette fare per arrivare a Roma. Dell’arrivo al confine con il Niger, quando i militari gli presero soldi e cellulare, della traversata del deserto attraverso il Niger fino ad arrivare in Libia, con il veicolo che si era riempito di sabbia fino a far morire due passeggeri soffocati. Fu David, insieme a pochi altri, a spingersi fino alle strutture di detenzione in Libia nel suo racconto. Mi raccontò di come era stato fortunato, perché soltanto pochi giorni dopo il suo arrivo i miliziani che lo avevano fermato avevano avuto un alterco con una milizia rivale e lui insieme ad altri del suo gruppo era riuscito a scappare.

Mi raccontò che divisero i migranti in uomini e donne, e in musulmani e non musulmani.

Spogliarono nude alcune donne, legandole ad un reticolato, scegliendone alcune per violentarle. Altre, insieme a dei maschi, le riunirono in una camerata poco distante da cui, di lì a poco, arrivarono urla disumane che si protrassero tutta la notte. I forti e dignitosi occhi di David mentre raccontava queste storie davanti alla birra che gli avevamo offerto rinuncio a tentare di descriverli.

Pochi altri mi raccontarono la loro esperienza dei campi, tutti portando esperienze di simili orrori.

Sommersi dalla Pandemia, dall’Ucraina, i campi in Libia non trovano quasi più spazio nella lista delle notizie. Ecco il perché di questo articolo: per fare memoria, per non dimenticare, per denunciare un male che continua a crescere ai confini dell’Europa coperto da troppo silenzio e indifferenza.

di Giacomo Fagiolini

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