Mafia: il film su Felicia Impastato sbarca in prima visione su Rai 1

Barbara

La battaglia dell’Italia anti-corruzione arriva sui piccoli schermi

È andato in onda nella prima serata di martedì 10 maggio “Felicita Impastato”, film coprodotto da Rai Fiction e Matteo Levi, diretto da Francesca Albano ed incentrato sulla lotta alle mafie della famiglia Impastato, causa a cui Felicia dedicò tutta la sua vita all’indomani dell’omicidio del figlio Peppino. Una lotta privata, ma quanto mai d’interesse pubblico, che rivive quindi sui piccoli schermi e guida lo spettatore nell’arco di ben 24 anni, fino a quando Felicia vedrà riconosciuta giustizia giuridica sulla morte di Peppino. Al contempo, una lotta alla commemorazione che perdura tutt’oggi grazie al figlio Giovanni e all’eco di produzioni televisive come quella realizzate da Rai Fiction. L’intrattenimento ha coinciso in tal caso quasi perfettamente con il fine celebrativo, il film è stato infatti trasmesso ad un giorno di distanza dal tragicamente celebre 9 maggio, quando nel 1978 fu annunciata la morte di Aldo Moro e di Peppino Impastato. Forse per questo “Felicia Impastato” ha da subito rapito il cuore dei telespettatori, aggiudicandosi ben 6 milioni 871 mila spettatori e il 26.98% di share, vincendo la sfida degli ascolti della prima serata nonostante la forte rivalità dell’esordio di “Gomorra 2” su Sky Atlantic. A ricoprire il ruolo di Felicia è Lunetta Savino, anima apparentemente flebile, docile e comprensiva, ma pronta ad ardere di un forte idealismo nel respingere la corruzione e le minacce dei mafiosi locali, una tenacia che la Savino rappresenta coraggiosamente soprattutto nelle scene di maggior pathos. “Peppino non era un terrorista, e non è morto suicida. Ed io continuerò a difenderlo fino a che terrò quest’occhi aperti”. La voce dell’Impastato, anche se interpretata, rivive con ardore su Rai, proiettando il suo messaggio con speranza alle nuove generazioni, suggerendo loro che non bisogna piegarsi al gioco dell’illegalità perché, come spesso ripeteva Felicia, “Io zitta non ci sto!”. Ripercorrendo quel delicatissimo 1978, nella lotta allo strapotere del boss Gaetano Badalamenti si biforcano così in due spaccati storici di altrettanto valore: le vicende della famiglia Impastato, che si oppone alle leggi dei clan, alla tradizione dell’onore imbevuto nel sangue, brandendo invece la libertà di autodeterminazione da un sistema corrotto, e, intrecciate, quelle di Franca Imbergamo, che ci racconta dagli albori la storia del giudice Rocco Chinnici, di Antonino Caponnetto e del giornalista Mario Francese. A vent’anni, da studentessa universitaria, Franca incontra infatti Chinnici. Quell’incontro segnerà la sua vita, guidandola alla professione di magistrato. Tant’è che, vent’anni dopo, si ritroverà in mano le carte del “suo” giudice che la invoglieranno a riaprire il caso. Sarà lei a guidare l’inchiesta che prenderà corpo in quel fatidico 11 aprile del 2002, davanti alla mamma di Peppino, quando Gaetano Badalamenti sarà condannato all’ergastolo. Quella raccontata da “Felicia Impastato”, così come quella realmente palesatasi in aula di tribunale, è però una giustizia fittizia, che chiude la porta su una, ma non l’unica e l’ultima vittima dello strapotere mafioso. Un imperialismo dell’illegalità che va combattuto in primis raccontandolo. E perché no, dando nuovamente voce a chi non è stato zitto, e che per questo è stato messo a tacere. Anche a ciò serve il cinema.

di Barbara Polidori

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