Sexting ed estorsione sessuale. Un nuovo fenomeno della Rete.
Ricattati, soprattutto ricattate, da foto e filmati che li ritraggono in atteggiamenti sessuali. E’ ‘l’estorsione sessuale’ – sextortion – il fenomeno che aggredisce la vita di molti adolescenti. Il ricattatore, che in un primo momento ha ottenuto con il consenso foto e immagini a sfondo sessuale, li usa – poi – per pretendere denaro o ulteriori prestazioni sessuali; pena la pubblicazione e la diffusione in rete delle immagini stesse.
E’ solo una delle tante devianze, tutte legate ai comportamenti sessuali, che da anni popolano la Rete e i social media. Si va dallo scambio di foto, filmati e commenti tra consenzienti – in tal caso si parla di sexting – all’estorsione e al ricatto; dall’ adescamento da parte di adulti su minori – grooming – ai siti di ‘stupri virtuali’ in cui gli utenti condividono in segreto foto ‘rubate’ ai profili di ignare e inconsapevoli amiche, con intenti dichiaratamente onanisti.
Sembra impossibile difendersi. Lo sdegno e le denunce di molti; le norme e le leggi introdotte; la messa in mora di questi veri e propri reati; la caccia da parte di polizie e autorità competenti, non riescono ad averne ragione. Persino, la giurisprudenza – si pensi al caso di Tiziana Cantone – ha mostrato i limiti di una condanna che se può raggiungere l’autore materiale del filmato o delle foto, non riesce a punire chi ha responsabilità editoriali o i singoli utenti dei social.
Del resto, il sempre tardivo oscuramento del sito o del profilo non tutela affatto né ripristina il diritto di privacy e, al contempo, un diritto all’oblio che, una volta ‘caduti nella Rete’, nessuno può più garantire. Un clic, anche casuale, potrà un giorno mostrare foto e filmati che, censurati e cancellati da un sito, nel frattempo sono migrati in un altro e affiorano, adesso, in altri gangli della rete.
Per internet vale quello che negli anni 60 si giunse a dire – dopo lunghi e accesi dibattiti – sulla ‘televisione’. Saperi e coscienze, filosofi e sociologi si divisero, come scrisse Umberto Eco, tra ‘apocalittici – coloro che vedevano nella televisione uno strumento di definitiva corruzione dei costumi, e come tale la condannavano – ed ‘integrati’: quanti, invece, si limitavano a considerarla un mero strumento, certo più potente di tutti gli altri fino a quel momento a disposizione, ma in grado di veicolare ‘contenuti’ non per forza deplorevoli.
La Rete, oggi – come la TV, ieri – è uno strumento che veicola ‘contenuti’. E per quanto nessuno strumento sia davvero ‘neutrale’ rispetto al suo specifico (diffusione, accessibilità, controllo, costo, ecc.) resta il fatto che contano i contenuti che esso veicola.
E, allora, il problema – anche nel caso di extortion o stupri viruali – non può limitarsi alla denuncia del mezzo, ma deve considerarne il contenuto. E il contenuto dei mezzi di informazione – anche i più evoluti – dipende dal progetto che li anima: diremmo dal piano editoriale, dal suo statuto, dalle sue politiche, dai suoi intenti per capirci meglio.
Piani, progetti, intenti , contenuti – e la loro scelta – rimandano alla figura di un ‘editore’, di un ideatore, di progettista: in altri termini, ad un essere umano.
Allora, il problema dei contenuti e della modalità della Rete – la sua deriva criminale, che mette a repentaglio l’incolumità e la salute di milioni di adolescenti – è un problema anche nostro, che interroga ciascun essere umano. Nessuno è escluso.
In una alienazione collettiva abbiamo barattato la possibilità di essere felici, con l’illusione del potere. E’ davvero sintomatico il fatto che la sessualità – che può essere motivo di felicità se agita tra persone libere – è essa stessa diventata l’ossessione di un potere che finisce per imprigionare e ‘oggettivare’ l’altro. Siamo passati dalla ‘libertà sessuale’ alla prigionia di una sessualità virtuale, centrata sull’esercizio di un controllo fine a se stesso che rende impotente ogni possibilità di renderci reciprocamente felici.
L’orizzonte egoistico di chi vive una sessualità rubata, onanista, chiusa in se stessa – di fatto – isolata e isolante, è la prigione a cui ci condanna la ricerca del potere. Il fatto è che si cerca il ‘potere’ credendo possa dare felicità. E’ questo un errore capitale che commettiamo: un errore su cui è intessuto gran parte del nostro presente.
Denaro, sesso e successo – lungi dall’aver mai reso di per sé sereno qualcuno – non sono sinonimi di felicità ma –storicamente – i simboli del potere. Ora, credere che il potere renda felici, è – appunto – una credenza, non la verità.
Ed è, forse, anche per fuggire da questa ‘verità’ – la libertà offerta a ciascuno di rendersi felice – che cadiamo nelle trappole e nelle suggestioni offerte dalla realtà virtuale.
Reale e Virtuale, due possibilità. Il dramma è che non siamo più disposti a lottare – come fa il protagonista di Matrix – per affermare la ‘realtà’ sotto le spoglie di un mondo virtuale, privo – dunque – di senso. Cresce a dismisura il numero di quanti quel mondo lo scelgono e lo desiderano, perché più attraente del mondo reale.
Mi pare un processo orami irreversibile: ‘virtuale’ sta sempre più anche per ‘virtuoso’, in una deriva millantatoria e mistificante che – questo è certo – produrrà effetti difficili da prevedere.
Nella sua evoluzione l’uomo è quell’animale che ha avuto bisogno di scenari reali per sconfinare nella creatività del suo immaginario. L’uomo ha avuto in sé un’immagine da sognare, un’immagine che ha provato a suscitare con ogni mezzo, sino all’uso delle più sofisticate tecnologie.
Questo fino a ieri. Ora, si dà il rischio di un’immagine dell’uomo generata e sognata dalla Tecnologia. Il destino dell’Uomo, così come l’abbiamo conosciuto, allora è segnato.
di Luca De Risi