Trattativa Stato-Mafia: mugugni per la nomina del Generale dalla Chiesa

Al processo “trattativa” si parla della nomina del Generale dalla Chiesa a Prefetto di Palermo, del sequestro Moro, dell’ex ministro Conso e i decreti del 41 bis.

Ad essere ascoltati l’ex Ministro democristiano Virginio Rognoni e l’ex ministro socialista Salvo Andò. Ma chi sono questi due ex ministri?

Virginio Rognoni: Esponente storico della Democrazia Cristiana, è stato consigliere comunale a Pavia dal 1960 al 1964 e vicesindaco nonché assessore all’urbanistica dello stesso capoluogo dal 1964 al 1967. Successivamente è approdato alla politica nazionale, riuscendo a restare deputato alla Camera per ben sette legislature (dal 1968 al 1994). Vice presidente della Camera dal 1976 al 1978. Dopo le dimissioni di Francesco Cossiga a seguito dell’assassinio di Aldo Moro, è nominato ministro dell’Interno, restando in carica dal 1978 al 1983 e fronteggiando i gruppi terroristici che in quegli anni minacciavano l’Italia. Quando dirigeva il Viminale, fu molto criticato dal Partito Comunista Italiano per non aver protetto a sufficienza il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che fu ucciso proprio nel giorno (3 settembre 1982) in cui egli aveva chiesto a Rognoni un appuntamento, che il politico dello Scudo Crociato rinviò a causa di alcuni suoi impegni europei. Nominato Ministro di grazia e giustizia nel secondo governo Craxi e nel sesto governo Fanfani (dal 1986 al 1987) e Ministro della Difesa nel sesto e settimo governo Andreotti (dal 1990 al 1992). A seguito dell’inchieste “Mani Puliti” subì gli effetti dello sconvolgimento politica degli anni Novanta nel 1992, terminò la sua esperienza parlamentare. Nel 1994 aderì al nuovo Partito Popolare Italiano guidato da Mino Martinazzoli, ma la sua presenza nelle istituzioni di fatto si interruppe e solo nel 2002 l’ex ministro tornò alla ribalta per la sua ultima esperienza istituzionale, quella di vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Eletto infatti componente laico del CSM nel 2002 con 598 voti in quota La Margherita, dal 2002 fino al 2006  e fu anche vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Fu promotore insieme a Pio La Torre di una legge che introduceva il reato di associazione di tipo mafioso (Legge Rognoni-La Torre) e di una norma che prevedeva la confisca dei beni ai mafiosi.

Salvo Andò: esponente di primo piano del Partito Socialista Italiano, è stato consigliere comunale dal 1970 al 1991, prima a Giarre e poi a Catania. Eletto alla Camera per la prima volta nel 1979, è stato deputato per quattro legislature. È stato vicepresidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2. È stato presidente del gruppo parlamentare del PSI dall’aprile al giugno 1992, già membro della direzione e della segreteria nazionale del partito. Fu ministro della Difesa nel primo governo Amato dal giugno 1992 all’aprile 1993. Nel corso del suo mandato, a seguito dell’inasprimento della guerra alla mafia segnata dagli attentati in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fu deciso per la prima volta l’intervento massiccio dell’Esercito per svolgere funzioni di ordine pubblico con l’Operazione Vespri Siciliani. In merito alla strage di via D’Amelio, in cui rimasero uccisi Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, Andò ha dichiarato di aver incontrato il giudice Borsellino poche settimane prima della sua uccisione, informandolo di un rapporto investigativo che parlava di un potenziale pericolo per entrambi. Dopo lo scioglimento del Partito Socialista Italiano è rimasto sempre nell’area socialista. Nel 2013 Salvo Andò ha partecipato alle elezioni amministrative della città di Giarre in qualità di candidato sindaco alla guida di una coalizione civica denominata “Per un’altra Giarre” senza successo.

Trattativa Stato – mafia parlano Rognoni e Andò.

Rognoni sulla nomina del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa a Prefetto di Palermo (cento giorni di lavoro, poi fu assassinato)dice, c’erano “mugugni” e “lamentele”, e continua “C’era qualche preoccupazione da parte di alcuni parlamentari, anche del mio partito”, ha esordito Rognoni, in particolare “ricordo un incontro al Viminale con l’onorevole D’Acquisto”. Rognoni parla anche di un colloquio tra lui e il Generale, nel quale proprio dalla Chiesa gli disse: “farò il mio dovere, ma magari mi scontrerò con qualche componente anche del suo partito”, Rognoni rispose ‘vada avanti e non guardi in faccia a nessuno, faccia il suo dovere’”. Dalla Chiesa parlò specificamente a Rognoni “di corrente andreottiana” e “fece il nome dell’onorevole Gioia (il democristiano Giovanni Gioia).

Chi era Giovanni Gioia? Gioia fu uno dei più influenti membri della corrente politica di Amintore Fanfani all’interno della Democrazia Cristiana negli anni cinquanta e sessanta. Nel 1954 Gioia venne nominato segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Palermo ed inoltre capo dell’Ufficio Organizzazione del partito, che vigilava sulle tessere d’iscrizione: Gioia inaugurerà la cosiddetta “strategia delle tessere”, che consistette nella distribuzione di tessere a parenti, amici e persino ai defunti, arrivando ad aprire 59 sezioni democristiane solo a Palermo. Intorno agli anni 1954-1957 la rottura del blocco agrario permise a Gioia di trasferire verso la Democrazia Cristiana esponenti liberali e monarchici (spesso compromessi con la mafia). I due principali luogotenenti di Gioia, Salvo Lima e Vito Ciancimino, riuscirono ad arrivare ai vertici dell’amministrazione comunale di Palermo: durante il periodo della giunta comunale del sindaco Lima e dell’assessore ai lavori pubblici Ciancimino (1958-1964), delle 4.000 licenze edilizie rilasciate, 1600 figurarono intestate a tre prestanome, che non avevano nulla a che fare con l’edilizia, inaugurando la stagione del cosiddetto “sacco di Palermo”. Durante questo periodo, il costruttore Francesco Vassallo (genero di Giuseppe Messina, capomafia della borgata Tommaso Natale, e uno dei protagonisti del «sacco di Palermo») riuscì ad ottenere numerosi prestiti di comodo rilasciati senza garanzia dalla Cassa di Risparmio, presieduta da Gaspare Cusenza, suocero di Gioia; in base ai loro rapporti, le famiglie di Gioia e Cusenza andarono ad abitare nei numerosi appartamenti edificati da Vassallo.

Salvo Andò ha ricordato invece il suo incontro con Paolo Borsellino. Parlò ad esso dell’informativa, che al Giudice era sconosciuta, l’informativa li definiva come soggetti ad altissimo rischio.

Prosegue Rognoni sul sequestro Moro e dice: “è stata una sconfitta dello Stato” poi ricorda che nel novembre del ’79 l’allora Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella lo andò a trovare “mi disse: ‘Sto combattendo una battaglia difficile, cerco di rovesciare la situazione, soprattutto sui lavori pubblici’ e mi fece il nome di Vito Ciancimino come un nome che contrastava questa sua politica”. Rognoni parlò del fatto con il generale dalla Chiesa: “È stata l’occasione più importante in cui Ciancimino entrò nei colloqui che avevo avuto con dalla Chiesa” ha precisato. Rognoni continua poi su Conso e il 41 bis.

Giovanni Conso, Ministro di Grazia e Giustizia, nel marzo 1993, non rinnova il regime carcerario speciale dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario a 140 mafiosi sottoposti a carcere duro.
Rognoni nutriva “molta stima”: “Ricordo c’era questo provvedimento di allentamento”, di cui Rognoni seppe “in ambito parlamentare”, seppure non in riunioni formali. Tuttavia, ha spiegato il teste, l’apprezzamento nei confronti di Conso “mi dispensava da una critica” in merito. Nemmeno Andò parlò con Conso delle mancate proroghe: “Era una personalità di cui tutti avevamo grandissima considerazione, e non avevo lo stesso rapporto che ebbi con Martelli”.
Rognoni e Andò, hanno negato di aver mai ricevuto pressioni, in merito a provvedimenti a favore di Cosa nostra, da parte di ufficiali del Ros. Quanto all’entrata in vigore del decreto legge sul 41 bis: “Ci furono delle riserve di tipo formalisticoma poi prevalse l’idea che fosse conveniente insistere nella misura antimafia”. Ha poi ricordato la disposizione sul rischio di una prosecuzione di ulteriori attentati della criminalità organizzata la destabilizzazione, in vista delle elezioni: “Lo ricordo come un fatto importante, che però non ha avuto all’interno del mio partito una particolare attenzione e una discussione in proposito, e nel governo neanche”. E sull’omicidio del democristiano Salvo Lima: “È stato visto con grande sconcerto” ma non emerse l’ipotesi che potesse essere il primo di una serie di delitti eccellenti, seppur la probabilità era “tenuta in conto”.

Le fasi processuali della “Trattativa Stato – mafia”, fanno emergere uno spaccato che passa dalla politica della prima Repubblica a quello della seconda, passando per un gelatinoso quanto opaco intreccio politico-mafioso.

Di Maria De Laurentiis