Bela Guttmann, oltre la maledizione, un’intera vita per lo sport

Se provaste a cercare su Google il nome di Bela Guttmann il primo suggerimento che trovereste sarebbe quello di “maledizione”. Di lui resta questo infatti, nel patrimonio calcistico globale. “Nei prossimi cento anni il Benfica non vincerà nulla in Europa”. Furono queste le parole che l’allenatore Guttman lanciò contro la sua ex squadra, colpevole di non volergli aumentare lo stipendio.
Che dietro a Bela Guttmann si nasconda il prototipo dell’allenatore moderno, quello alla Mourinho o alla Conte per chi li conosce, sfrontati, caparbi, forse anche antipatici ma di certo vincenti, non lo sa nessuno. Come nessuno, o almeno in pochi, sanno come Bela Guttman, ebreo nato in Ungheria, sia riuscito ad attraversare la Seconda Guerra Mondiale e le leggi razziali.

Il Guttman calciatore muove i primi passi sportivi al MTK Budapest per poi passare all’Hakoah, termine che in ebraico significa “Forza”. Era una squadra viennese dei primi del novecento, fondata da Fritz Lohner Beda e Ignaz Herman Korner, seguagi della dottrina di Max Nordau del Giudaismo Muscolare. L’Hakoah è forte veramente, vince il campionato austriaco e diventa addirittura la prima formazione europea continentale a battere una squadra inglese in casa, il West Ham, sconfitto per 5-1. La squadra attira l’attenzione di tutti, tanto che il giornale tedesco “Fußball” parla di “distruzione del mito dell’inferiorità fisica degli ebrei”. L’Hakoah viene chiamata negli Stati Uniti, per una serie di amichevoli. Qui Bela Guttman, come altri suoi compagni, accetta la chiamata dei New York Giants. Intanto, per arrotondare il suo stipendio di calciatore amatoriale, fa valere il suo diploma in danza classica e inizia ad insegnare i passi ai lavoratori portuali.

Negli anni ”30 però torna in Europa e le sue tracce si perdono. Nella tragedia dell’Olocausto perde il fratello maggiore, il padre e la sorella, ma di lui, di Bela Guttman, non si sa niente. è David Bolchover, nella sua biografia “The greatest comeback. From Genocide to Footbal Glory”, ad aprire uno squarcio di luce sulla vicenda. Nel 1942 l’ormai ex calciatore e allenatore sposa Mariann, ragazza moldava di religione cristiana. Nel sottotetto del negozio del cognato, parrucchiere di Budapest, Bela si nasconde per mesi, contro il volere della suocera e sotto le grinfie dei nazisti locali.
Quando l’ombra della guerra sparisce, il tecnico ungherese inizia il suo giro del mondo. Allena in Italia (Padova, Triestina, Vicenza e Milan) poi in Brasile, a Cipro, in Argentina e in Brasile, poi in Grecia, Svizzera e Uruguay. Ma è in Portogallo che Guttman passa alla storia: con il suo Benfica, agli inizi degli anni 60, vincerà due Coppe dei Campioni.

E di tutta la sua carriera fatta di grandi vittorie e clamorose sconfitte, di litigate e licenziamenti, di coppe e di debiti, non resta che una maledizione. Ma è esattamente l’opposto ciò che rimane realmente di Bela Guttmann. Di quegli anni bui, passati a nascondersi con la paura di morire, lui diceva soltanto “Dio mi ha aiutato”. E da quelle ceneri è ripartito, un pallone in un mano e una valigia nell’altra. Nella testa passi di danza, schemi offensivi e di retroguardia. Nel cuore invece una benedizione. Quella dello sport, del calcio, della vita che, comunque sia, sa ripartire.

di Lamberto Rinaldi

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