I ragazzi di Villa Emma. Era il 1943 e la guerra infuriava

Il cuore in gola e la fuga, improvvisa, necessaria per salvarsi la vita. Il Nazismo infuria e sta sconvolgendo, con un’avanzata inarrestabile, l’Europa.
Il dolore di chi è coinvolto dalla furia omicida di un progetto di potere, sopra tutti e tutto, è lancinante. Le grida di molti restano soffocate in campi di concentramento, dove i corpi diventano fumo, che sale lungo comignoli di orrore. Stanze della morte.

In questo scenario di paura esistono dei momenti di solidarietà tra uomini, senza distinzione di cultura, razza, religione che, ancora oggi, a distanza di anni, possono commuovere.
Sono talmente generosi da sembrare quasi irreali, in un mondo sempre più disumano.

E’ il 17 giugno del 1942 quando, a Nonantola, vicino Modena (si può quasi sentire la dolce parlata del territorio), arrivano 40 bambini ebrei, molti sicuramente orfani.
Sono in fuga, spaventati, con l’incubo del fiato nazista sul collo, con lo spettro della deportazione nel cuore, per chi tra di loro ha l’età giusta per comprendere.
Provengono dalla Jugoslavia, dove l’occupazione tedesca e italiana, li ha sorpresi mentre stavano tentando di raggiungere la Palestina, dove avrebbero potuto trovare accoglienza e salvezza.
L’arrivo dei nazisti li ha costretti a modificare il loro cammino. Giovani vite inseguite dal Reich, che vuole trasformarli in larve umane e poi in cenere.
I loro cuori battono forte, non sanno nemmeno se potranno fidarsi del prossimo. Sono in Italia e anche qui sono in vigore le leggi razziali.

Quando arrivano a Nonantola, però, tutto il paese, senza far rumore, li accoglie e i ragazzi e bambini, di età variabile tra i sei e i vent’anni, trovano un loro spazio in Villa Emma.
Ai primi 40 giovani si aggiungeranno dopo poco tempo, nell’aprile del 1943, altri 33 bambini provenienti da Spalato.
In paese tutti sanno chi sono e tutti sono solidali con loro. Nessuno penserà a tradirli. La solidarietà diventa fondamentale per tutti e, nonostante la difficile situazione, nascono delle amicizie tra gli abitanti del luogo e i giovani.
I ragazzi con i loro educatori, nel chiuso di Villa Emma, riprendono i loro studi e la loro preparazione per la vita che li attende in Palestina.

Un giorno, però, si diffonde la voce che i nazisti stanno arrivando a Nonantola. L’odio avanza. La paura attanaglia nuovamente i piccoli cuori. Occhi impauriti cercano aiuto e rassicurazione.
Gli abitanti di Nonantola con Don Arrigo Beccari e il medico condotto, Giuseppe Moreali, in prima linea, sanno cosa devono fare. Salvare delle vite.
E lo fanno, senza esitazioni. A rischio della propria sicurezza.
Chi è di Villa Emma trova accoglienza in ogni casa, un luogo in cui nascondersi, in cui mascherare la propria presenza.
Sono vite senza un futuro se venissero catturati dai tedeschi, sono morti che camminano, senza la mano tesa di qualcuno.

La loro fuga, tra mille battiti accelerati del cuore, è organizzata con la collaborazione di tutti.
I giovani fuggono in Svizzera, nel settembre del 1943, guadando il fiume Tresa, di notte, in una catena umana in cui il più forte aiuta il più debole, affinchè la corrente del fiume non trascini via nessuno di loro. Uno solo tra di loro, malato, non potendo proseguire nel cammino cade nelle maglie di un rastrellamento.
Non esiste luogo del mondo in cui sia possibile trovare giustificazione a una strage. Non si dimentichi, nessuno dimentichi, per non ricreare sulle stesse basi, la necessità di ritrovare l’umanità persa.

di Patrizia Vindigni

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