Elezioni: Sanremo a Palazzo Chigi

Ci può essere una connessione tra la più grande e febbrilmente seguita manifestazione canora italiana e le elezioni politiche nazionali che avranno quest’anno luogo proprio a ridosso di essa? Ossia: quanto della vita reale, generale di un paese, di una nazione entra dentro, si mescola intimamente alle melodie che essa intona, permeandole di un senso che va al di là della loro stessa espressione testuale e musicale?

Mettiamo intanto a confronto alcuni dati statistici. Lo share della serata finale di Sanremo 2018 ha toccato il 58,3%, con 12 milioni e 125.000 spettatori. Un vero trionfo per Mamma, anzi, Nonna Rai, se vogliamo prenderne a simbolo la vertiginosa esibizione danzante della vecchietta nella canzone Una vita in vacanza del gruppo Lo Stato Sociale. Un trionfo soprattutto per gli inserzionisti pubblicitari, gli sponsor – Tim in primo luogo – che pesano, incartano e portano a casa simile epifanica cornucopia di contatti commerciali con gli spettatori-consumatori. Tale percentuale di share significa però che c’erano altri 9 milioni di astensionisti dal Festival – ossia il 41,7% di circa 21 milioni di spettatori – che stazionavano sintonizzati su altre reti, canali, connessioni radio-tv e connessioni streaming.

Più o meno alla stessa ora – secondo l’ultimo sondaggio SWG – lo share dell’astensione-indecisione alla prossima kermesse delle urlate promesse elettorali tocca il 37%. Percentuale relativa ai 47 milioni di aventi diritto al voto. Ossia 18 milioni di italiani non solo si sentono del tutto demotivati ma anche infastiditi, forse anche angosciati dall’essere chiamati a infilare il 4 marzo 2018 quel pezzo di carta che si chiama scheda dentro uno scatolone di cartone detto urna. Già la differenza tra il 37% e il 42% non è poi così astrale, anzi. Soprattutto, in termini numerici assoluti, essa nasconde che gli astensionisti dal canto delle sirene elettorali sono a oggi esattamente il doppio dei nove milioni di freddi melodici.

Passiamo alle canzoni. Non mi avete fatto niente è un’altra canzone vincitrice a Sanremo che poco o niente aggiunge al patrimonio musical-nazional-popolare. Niente testo, accordi e melodia paragonabili a Occidentali’s Karma di Francesco Gabbiani, canzone vincitrice del Festival lo scorso anno e che segna sotto ogni aspetto una novità musicale e testuale, anche nei suoi colti ma non ostentati riferimenti scientifico-antropologici. Nulla da togliere alle qualità vocali e alle parole impegnate affidate con struggente drammaticità ai microfoni dell’Ariston dai due vincitori, Ermal Meta e Fabrizio Moro. Una canzone, però, che giudicata scarsa lo era già stata, quando aveva il titolo di Silenzio e fu presentata nel 2016 nella sezione Nuove Proposte con le voci di Ambra Calvani e Gabriele De Pascali. Presentata e scartata dai selezionatori di Sanremo, e dunque incisa e diffusa attraverso altri canali radio, tv e web (dove potete ancora trovarla). Uno degli autori di Silenzio, Andrea Febo, è anche autore di Non mi avete fatto niente, così che – per un articolo del regolamento di Sanremo – la canzone non può essere considerata un plagio, in quanto un autore può inserire una citazione di un suo precedente brano fino a una percentuale di musica e testo pari al 30%. Questo articolo cozza però con un altro: che il brano presentato deve essere inedito e restare segreto fino al momento della sua presentazione sul palco del Teatro Ariston di Sanremo. Come possa essere inedito e restare segreto un brano che già è stato inciso, trasmesso e addirittura riascoltabile nei siti web della Rai, rimane, più che un riserbo, un vero mistero. Fatto sta che la parte caratterizzante tutta la canzone, l’unica orecchiabile e rammemorabile, è il ritornello che in entrambi i brani è musicalmente e testualmente identico.

Non porta a niente entrare qui in una web-diatriba che la vittoria della canzone in qualche modo ha già ridotto a una mera scia acustica in dissolvenza. Più interessante il fatto che lo stivale canzonettistico non solo non ha niente di nuovo da dire, ma che deve andare addirittura a ripescare parole e musica in vecchi baule-carillon accatastati in soffitta. Ecco, proprio qui c’è il punto di massimo contatto tra ugole e urne 2018. La musica è sempre la stessa, la reiterazione e il riciclo di un identico ritornello, la vecchia minestra una volta di più riscaldata e rovesciata con il cornetto acustico e con l’imbuto dentro i timpani e gli esofagi sparpagliati tra le Alpi e il Lilibeo. Questo anche in considerazione del riciclo politico operato dal testo della canzone vincitrice: dal tema dell’uccisione di un poliziotto di scorta (quando due anni fa era intitolata Silenzio) a quello ora più incombente del terrorismo islamico. Significa che né ieri né oggi quel brano rappresenta un’espressione di una condizione esistenziale di fondo. Potrebbe essere ripresentata anche il prossimo anno con lo stesso ritornello orecchiabile e il testo riadattato a una situazione in superficie più attuale. Basterebbe anche una variazione minima del titolo: Non avete cambiato niente. Ve lo immaginate Fabrizio De André che modifica e riadatta frasi narrative e musicali delle sue canzoni a seconda del momento? No, perché avrebbe significato soltanto che aveva scritto, pubblicamente suonato e cantato un brano non valido, che non avrebbe stabilmente inciso memoria, storia e cultura. E una cosa del genere sarebbe stato lui il primo a rifiutarla. Ripetiamo, però, che questa non è una polemica contro qualità e intenzioni degli autori, a parte il fatto che una buona intenzione non far di per sé una buona canzone.

Non sta, infatti, avvenendo la stessa cosa sulla ululante scena elettorale? Programmi, slogan, promesse, imbonimenti riciclati e variati con l’occhio e l’orecchio puntati ai sondaggi sui temi che maggiormente potrebbero attrarre astensionisti e indecisi. E i temi non possono che essere quelli di maggior clamore cronachistico. Immigrazione e insicurezza – non quelle reali ma quelle percepite – dominano le ugole di leader, youtuber, influencer, follower e troller. La radice, però, il sottosuolo dei problemi è altro e nessun brano musicale ed elettorale è riuscito quest’anno a cantarlo. Per questo così basso è l’entusiasmo sia per la canzonetta vincitrice che per la cacofonica banda elettorale che picchierà la grancassa fino al 4 marzo. L’altra micidiale coincidenza sarebbe infatti che Sanremo 2019 fosse ancora una volta a distanza ravvicinata dalle prossime elezioni politiche nazionali per lo stallo istituzionale che potrebbero sancire queste ultime. Sarebbe allora il caso di chiamare Claudio Baglioni non al Teatro Ariston di Sanremo ma direttamente a Palazzo Chigi: quanto meno share e sponsor trionferebbero. “La scimmia nuda balla,/ Occidentali’s Karma,/ Occidentali’s Karma” per sempre.

di Riccardo Tavani

 

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