Ricordiamo i bambini di Auschwitz con i disegni del Blocco 27

“Ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”, diceva Picasso negli ultimi giorni della sua vita. Proprio i bambini, infatti, riescono a trasmetterci ciò che accade con semplicità unica che sia qualcosa di gioioso o di disumano o terrificate.

Segni di vita familiare dei nostri figli che conserviamo in una scatola al sicuro in qualche armadio o segni universali e potenti dei bambini vittime delle mostruosità del mondo che ci risvegliano a ciò che accade come uno schiaffo al nostro codardo abituarci.

Segni di qualcosa di grande che accade. La pagella nella tasca di un bimbo morto in fondo al mare, i disegni di quelli che, invece, ce l’hanno fatta o quelli di altri ancora, come i siriani, che ci mostrano semplicemente l’orrore della guerra.

Accade cosi che in questi giorni di Memoria e di tante, troppe, palesi ingiustizie proprio verso i bambini il pensiero vada ai “segni” che ci hanno lasciato quelli ormai simbolo universale di ogni infanzia tradita e annientata.

Quelli netti, limpidi, essenziali dei bambini vittime della Shoah esposti nel Blocco 27 del campo di concentramento di Auschwitz.

Una serie di immagini su fondo bianco grigio, riportati in vita tempo fa dall’artista Michal Rovner con un lavoro dedicato al milione e mezzo di bambini ebrei uccisi durante la Shoah grazie agli archivi della Yad Vashem.
E lì, nel campo di Auschwitz, che i disegni circondano una stanza e danno vita alla indimenticabile Shoah dei bambini. Disegni timidissimi, realizzati con sottili matite nere. Disegni appena accennati ma proprio per questa semplicità teneri, dolorosi e potentissimi. Piccole linee dritte che tracciano, per esempio, tre rettangoli netti.

Tre rettangoli in ognuno dei quali oscilla, appeso, un omino di quelli che conosciamo bene tutti noi quando non lo sappiamo fare altrimenti, con cinque linee dritte ed una piccola testa tonda.

Tre omini cosi con un filo sottile al collo. Un filo sottile a indicare che sono stati impiccati e nell’ultimo rettangolo, in basso e di lato, un altro di questi apparentemente semplicissimi omini che alza una delle linee che lo compongono, la sua gambetta, e dà un calcio, questo sì disegnato con slancio, a un innocente sgabello fatto con altrettante semplici righe sotto l’ultimo uomo. L’ultimo uomo impiccato.

Ecco, il disegno di un bambino, qualcosa che nella sua semplicità spiega più di mille parole o immagini complesse, l’orrore visto in quel momento. Nel momento esatto di “quel calcio” a quello sgabello. Aveva ragione Picasso, tremendamente ragione.

Più della meraviglia di un “Guernica” quelle semplici poche, piccolissime righe di un ignoto bambino di Auschwitz spiegano ancora a noi l’orrore e lo sgomento della guerra e della morte.

Sono delicati nella loro drammatica essenza i disegni dei bambini nel Blocco 27. Disegni appena accennati, in cui si avverte la paura di crearli, la tensione di descrivere e allo stesso tempo la voglia ed il bisogno di farlo. Una piccola mamma, in un altro, disegnata in un campo bianco.

Una bimba che le si appoggia un po’ rigida, quasi senza riuscire a toccarla. Sole..solo loro, due figurine in mezzo al niente. E poi dei panni stesi al vento.

Una scena quasi “normale” se non si intuisse essere, quelle forme stese al vento, divise del campo e tutte uguali.

Chissà cosa pensava quel bimbo, chissà cosa ricordava, invece, di bello, arioso, ventoso e familiare “altrove”.

Una bambina seduta sola su una panchina e una piccola valigia vicino con scritto “Terezin 1945”.
Il capannone di arrivo ad Aschwitz che sembra un mostro da cui escono tre lingue di fuoco, invece dei binari. Tutto piccolissimo…di nuovo come appena accennato, come sussurrato e lasciato da chissà quale piccola e mai cresciuta manina.

Ecco, più di ogni cosa in questi giorni di ricordo che si avvicinano, la Memoria è fatta di bambini. Di bambini mai diventati quegli adulti che, forse, avendo visto tanto orrore, ce l’avrebbero saputo far ricordare senza scuse, senza distorsioni, senza nessuna assurda postuma giustificazione o travisamento.

Loro, esattamente come i bambini oggi sul fondo dei nostri mari o in guerre che lontanissime da noi ci toccano a malapena. Bambini che, in qualche modo, hanno lasciato segni come hanno potuto e quando hanno potuto. Con la forza di piccoli di fronte ad un mondo per loro troppo grande e incomprensibilmente crudele.

Restano oggi quelle piccole linee che hanno tracciato, forse, per trasformare la loro paura e che noi abbiamo il dovere, oggi più che mai, di trasformare in coraggio. Perché non dimenticassimo mai gli orrori che hanno annientano la loro infanzia.

Mai quel calcio, immortalato da quella ignota manina. Quello a quel piccolo sgabello, disegnato con tre righe, sotto quell’uomo attaccato a una corda. Mentre un bimbo guardava.

di Milene Mucci

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