Garantismo e giustizialismo: da Azzeccagarbugli a Lynch

Si parla spesso, nel nostro piuttosto sterile dibattito politico, di garantismo e giustizialismo.

Un esempio caricaturale di garantismo è il personaggio di Azzeccagarbugli, l’avvocato che, destreggiandosi nei “garbugli” della legge, riusciva a salvare da una giusta punizione i bravi manzoniani. Un esempio, altrettanto esagerato, di giustizialismo è, invece, un certo Charles Lynch, al quale si attribuisce l’invenzione del linciaggio.

Sono casi estremi, che ci fanno capire che i due termini sono fuorvianti, e non colgono la verità che sta dietro alla diatriba sul sottosegretario Siri, su tanti altri politici, a torto o a ragione accusati di vari misfatti, e su altri ancor più gravi fatti di cronaca.

La polemica tre garantismo e giustizialismo è sterile e fuorviante perché non c’è giustizia senza garanzie, ma bisogna, per citare un noto “senatùr”, trovare la quadra.

Qui si tratta, infatti, di due diritti altrettanto importanti, che apparentemente confliggono e devono essere conciliati: il diritto dell’indagato a sostenere la propria innocenza, e il diritto di tutti gli altri cittadini (e sono milioni) a non essere rappresentati e governati da una persona indagata per reati contro lo stato, cioè contro loro stessi.

Messa in questi termini, la questione non può che avere una sola risposta: una persona sospetta non dovrebbe sedere in parlamento e, soprattutto, non può continuare a governare, pur continuando a godere di tutte le garanzie dovute agli indagati. In una scala di valori sensata, l’interesse generale della collettività non può essere posposto al presunto diritto di un singolo inquisito di mantenere il suo posto di governo. È un diritto che non esiste in nessuna costituzione, ma solo nella testa dei garantisti in stile Azzeccagarbugli.

Alla fine, siamo sempre lì. Se si rende esplicita qual è la scala dei valori di riferimento, si vede meglio dove si va a parare. Non “prima gli italiani”, ma prima il mio interesse.

Nei giorni scorsi, si è consumata un‘altra tragedia del mare, con il naufragio dell’ennesimo barcone di migranti e un numero imprecisato (non ci sono liste di imbarco, ma quanti il mare ne porta via?) di vite perdute.

Anche qui, quanto conta che questi tragici tentativi di immigrazione siano illegali? Che senso ha applicare (o magari forzare) la legge sull’immigrazione, invocando multe ai soccorritori, quando si dimentica la legge fondamentale del diritto alla vita?

Che senso ha invocare leggi e norme, quando si tagliano i servizi essenziali a 450 persone (di cui 98 bambini) che non pagano la bolletta elettrica? Che, comunque, non è possibile pagare, perché il gestore non ha accettato di fare una banale voltura e il debito è, legalmente, di altri.

Qual è la scala di valori?

In effetti, il carattere distintivo degli Azzeccagarbugli è sempre lo stesso: la convinzione che le leggi si debbano applicare – e con durezza – agli altri, ma non ai potenti né agli amici dei potenti. Giustizialismo e garantismo uniti per difendere i propri interessi e condannare i deboli: anche a morte per naufragio.

Perciò Casapound può continuare ad occupare illegalmente uno stabile, senza che ci siano neanche motivi umanitari e senza che nessuno gli tagli la luce.

Perciò quelli che occupano illegalmente uno stabile in centro possono fare la guerra a quelli che hanno ottenuto legalmente un appartamento in periferia.

Perciò un partito politico può continuare a nascondere i soldi che dovrebbe restituire allo Stato (possibilmente non in 80 anni).

Perciò un ministro può comandare sui porti, anche se sono di competenza di un altro ministero, e sottrarsi al giudizio della magistratura.

Perciò due successivi governi consentono e lasciano che l’Abbazia di Trisulti sia gestita da una strana associazione sovranista, per finalità incompatibili con la storia del monumento, in barba alle buone regole di governo ed agli interessi della collettività.

E si potrebbe continuare all’infinito.

Questa strana commistione di garantismo e giustizialismo è, apparentemente, paradossale, ma ha una storia lunga.

Nasce molte legislature fa, quando un giovanotto di nome Matteo Salvini aveva appena iniziato la militanza leghista, interrompendo la frequentazione del centro sociale Leoncavallo (sì, proprio quelLeoncavallo!) e mollando i Comunisti Padani (di cui era co-fondatore) in seno al cosiddetto “parlamento padano”, uno strano e poco legale organo pseudo-secessionista.

In quei lontani anni ‘90, i leghisti iniziavano ad ingannare i loro elettori presentandosi in Parlamento (quello vero) con un cappio in mano, nello stile Lynch-giustizialista del periodo padano-secessionista; tanto per chiarire il loro atteggiamento verso gli indagati di tangentopoli, ancora tecnicamente innocenti, almeno secondo il pensiero salviniano-garantista del periodo italiano-sovranista.

Contemporaneamente alla sceneggiata del cappio, il loro segretario e fondatore Bossi intascava finanziamenti illeciti, per i quali era poi condannato. Ciò che non gli ha impedito di sedere in Parlamento per tutti gli anni successivi, in barba al giustizialismo leghista dell’epoca.

Una fusione grottesca di Lynch ed Azzeccagarbugli che tuttora persiste, e che ricorda, per restare in ambito letterario, la doppia personalità del dottor Jekyll e mister Hyde. Solo che, nel nostro caso, non è letteratura ma realtà: una realtà per molti versi tragica, per alcuni versi ridicola.

di Cesare Pirozzi

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