Onu: allarme per la crisi siriana

L’Europa sembra aver chiuso gli occhi davanti al dramma umanitario siriano, ma il muro di silenzio rischia di essere presto infranto.

Dalla fine di aprile, l’esercito del regime di Bashar al Assad, con il sostegno dalle forze russe, ha lanciato un assalto contro le ultime roccaforti dei ribelli.

Le operazioni militari si concentrano principalmente nelle parti meridionali della provincia di Idlib, nel nord est della Siria, e nelle aree adiacenti alle città di Hama e Latakia.

Nella provincia – oggi controllata da Hayat Tahrir al Sham, un gruppo considerato vicino ad al Qaida che si è imposto sulle organizzazioni concorrenti – in questi anni, si sono rifugiati i siriani renitenti alla leva obbligatoria, quelli che temono le ritorsioni del regime e i ribelli che hanno abbandonato i territori già riconquistati da Assad.

Un’enorme massa di sfollati che ha portato la popolazione, dal milione e mezzo di persone registrate prima del conflitto, a oltre tre milioni di persone.

Fin da quando le sorti della guerra hanno preso una piega favorevole al governo, obiettivo di Assad è stato la riconquista di tutta la Siria e solo un accordo tra la Turchia, vicina ai ribelli, e la Russia, alleata del regime, aveva, fin qui, fermato le manovre militari nell’area.

Lo scopo della Russia era quello di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel processo di pace siriano, mentre la Turchia era interessata alla stabilizzazione del territorio sia per evitare nuovi flussi migratori sia, soprattutto, per poter concentrare le sue forze contro i curdi siriani, alleati degli Stati Uniti nella guerra contro l’ISIS, considerati vicini al PKK, il partito indipendentista turco.

Entrambi i paesi erano quindi interessati a mantenere stabile l’area di Idlib.

La sospensione della tregua – che i russi imputano alla Turchia, accusata di aver continuato a sostenere i gruppi più estremisti – ha dato modo ad Assad di intervenire massicciamente.

La popolazione civile si trova ora tra l’incudine e il martello: da una parte i ribelli jihadisti e, dall’altra, la sicura vendetta del regime.

Gli attacchi aerei e le battaglie terrestri, hanno già costretto decine di migliaia di persone ad abbandonare le loro case.

Nonostante la gravità della situazione, e gli impegni assunti dei paesi donatori, nell’area mancano anche gli aiuti umanitari: gli Stati hanno versato alle Nazioni Unite solo 500 milioni di dollari dei 3,3 miliardi promessi.

Per Panos Moumtzis, il coordinatore umanitario Onu per la crisi siriana, “se continua così, se i numeri continueranno a salire, se il conflitto si intensificherà, potremmo vedere centinaia di migliaia, un milione, due, di profughi dirigersi verso i confini con la Turchia”.

A quel punto il regime turco di Recep Tayyip Erdoğan – in difficoltà a causa della crisi economica e della sconfitta alle scorse elezioni amministrative – avrà una nuova arma da puntare contro la dormiente (e impotente) Unione Europea che, al suo risveglio, sarà sicuramente costretta dagli Stati membri a sottoscrivere un rinnovato, ed esoso, patto con il Sultano pur di evitare che una massa di disperati cerchi asilo sul vecchio Continente.

Cos’altro deve accadere perché ci si convinca della necessità di una comune politica estera europea?

 

di Enrico Ceci