Sui migranti l’Onu accusa le autorità libiche: abusi e traffico di persone

La situazione dei migranti e dei rifugiati, compresi quelli detenuti nei centri di detenzione ufficiali, rimane fonte di grave preoccupazione. Stavolta per António Guterres, nono Segretario Generale delle Nazioni Unite, è stato come fare i nomi. Nero su bianco, con un dossier al Consiglio di Sicurezza acquisito dall’Aia, ha rivelato una plateale sconfessione verso chi persevera nei rapporti opachi con Tripoli: dai ministeri coinvolti nel traffico di persone agli esecutori degli stupri, fino a quei governi, come Italia e Malta, che tra memorandum e accordi segreti cooperano nei respingimenti illegali.

Nel rapporto è scritto che la missione Onu a Tripoli (Unsmil) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, hanno continuato a ricevere segnalazioni di detenzione arbitraria o illegale, tortura, sparizioni forzate e sovraffollamento. Non solo nelle prigioni clandestine dei trafficanti, ma nelle strutture di detenzione sotto il controllo del Ministero dell’Interno. Una chiamata in causa per l’apparato di Fathi Bashaga, il ministro degli Affari Interni a cui sono affiliate diverse milizie. A conferma Guterres segnala come dal 15 gennaio al 5 maggio 2020 siano stati intercettati in mare 3.115 «tra migranti e rifugiati». Ma circa «1400 sono detenuti nelle prigioni sotto il controllo del Ministero dell’Interno». Che fine hanno fatto tutti gli altri?

La risposta la suggerisce lo stesso dossier. Quando venne rivelata la presenza del guardacoste e trafficante Abdurhaman al Milad in Italia nel 2017, il ministro Bashaga assicurò che quel Bija sarebbe stato arrestato e rimosso dal comando della Guardia Costiera e del porto di Zawyah, il principale snodo di ogni contrabbando: esseri umani, petrolio, armi.

Invece non solo Bija è rimasto al suo posto ma attraverso la milizia al Nasr decide della vita e della morte di centinaia di internati. Guterres è chiaro: «L’Unsmil ha ricevuto notizie credibili circa il contrabbando e il traffico di richiedenti asilo e rifugiati nei centri di detenzione ufficiali di Abu Isa e al Nasr a Zawiyah». Si tratta proprio delle prigioni governative affidate alla milizia al Nasr.

A conferma di anni di inchieste giornalistiche e denunce delle agenzie umanitarie, il Segretario Generale chiede dunque di porre fine alla cooperazione per la cattura dei migranti in mare in quanto ovviamente la Libia non può essere considerato un porto di sbarco sicuro.

Eppure nonostante questo, paesi come l’Italia, Malta e agenzie europee come Frontex, hanno intensificato il sostegno alla cosiddetta Guardia Costiera libica a cui vengono segnalati i barconi da intercettare.

Appena una settimana prima, era stata la Corte penale dell’Aia ad elencare la medesima lista di imputazioni.

Il libero accesso ai campi di prigionia ufficiali resta precluso ai funzionari Onu. Tuttavia nelle ultime settimane gli osservatori hanno potuto documentare otto casi di donne e ragazze che erano state stuprate da trafficanti e personale di sicurezza libico. La riprova della connessione diretta tra uomini delle istituzioni e contrabbandieri di vite umane. Di ottenere giustizia nei tribunali locali non c’è speranza. Ultimamente la pandemia è stata solo un banale pretesto per rinviare i casi penali, mentre è risaputo che i membri della Procura della Repubblica non sono disposti o non sono nelle condizioni di indagare a causa di ritorsioni da parte di gruppi ferocemente aggressivi e armati.

Dunque secondo António Guterres c’è solo una cosa da fare e al più presto possibile. Esorta con urgenza gli Stati membri a rivedere le politiche a sostegno del ritorno dei rifugiati e migranti in quel Paese. Perché è ineccepibile che si continui ad essere conniventi con questo traffico di persone in cui le più elementari regole sui diritti e la dignità umana vengono così brutalmente calpestati. Che ognuno si prenda le responsabilità delle proprie azioni e che per queste paghi.

Adesso in cui tutto è messo nero su bianco, con un dossier al Consiglio di Sicurezza acquisito dall’Aia, si spera una volta per tutte di fare chiarezza e porre fine a questo scempio “legalizzato”.

di Stefania Lastoria

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