I doni di Rossana

La giornalista Ida Dominijanni ricorda il suo primo incontro con Rossana Rossanda. Era il 1980 quando fu chiamata nella redazione del manifesto per il quale aveva, da perfetta sconosciuta, scritto appena quattro o cinque articoli. Approdata nella sua stanza, Rossana la accolse con un sorriso dolce e severo al tempo stesso, le disse che si era incuriosita ascoltandola ad un seminario su donne e lavoro. Di lì a poco Ida Dominijanni si ritrovò nella redazione dell’Orsaminore, un mensile femminista che Rossana Rossanda stava progettando con altre amiche comuni per poi approdare due anni dopo nella redazione del manifesto.

Quella fu la prima volta che la vide. L’ultima fu poco più di due mesi fa, prima di partire per l’estate. Il lockdown le aveva separate e durante questa separazione Rossana aveva avuto un malore, non stava bene, il corpo affaticato, la voce flebile. Ma la grande Rossana aveva mantenuto nella malattia, da quando un ictus le aveva limitato i movimenti ma non la lucidità, la stessa misura che aveva sempre avuto nel parlare di sé, mai un aggettivo sopra le righe. Del resto, si accendeva ancora non appena si parlava di politica. Avevano progettato grandi cose per settembre, grandi cose che dopo la sua morte, avvenuta il 20 settembre scorso, non faranno più.

Il momento della fine è quello in cui più forte scatta la tentazione di appropriarsi di chi se ne va, e più forte si manifesta la sua inappropriabilità. Rossana lo sapeva benissimo, tanto da sottrarsi esplicitamente (lo scrisse in La perdita, con Manuela Fraire e Lea Melandri, 2008) al rito dell’esposizione funeraria, quando un corpo non ha più possibilità di replica allo sguardo altrui. Ognuno, ognuna ha la “sua” Rossana, ma Rossana non è di nessuno e la sua biografia resta di una singolarità assoluta, come assoluto, indomabile, è stato il senso della libertà che l’ha ispirata e che ha trasmesso a chi sapeva coglierlo.

Suonerà strano, di questi tempi, questo connubio fra una libertà irriducibile e un’altrettanto irriducibile appartenenza comunista, eppure Rossana era questo connubio e questa eresia. Non si potrà comprendere nulla del manifesto secondo Rossanda, se non si parte da questa passione della libertà, che ha consentito a chi l’ha condivisa di leggere il presente violando le certezze del partito preso e i criteri dell’informazione mainstream. Il contrario dell’ideologia, l’opposto del conformismo, l’inverso del minoritarismo: questa era Rossana e questo ha sfidato ad essere per i suoi collaboratori.

Non una sfida facile soprattutto per le donne. Ma è stata una sfida generativa di posizioni culturali e politiche che altrimenti non sarebbero esistite nel panorama italiano, e che nello stesso manifesto non sono state prive di ostacoli e conflitti.

L’allontanamento dal giornale, per varie ragioni, cominciò un po’ alla volta ma si concretizzò definitivamente nel 2012 lasciando profonde ferite in tutti coloro che avevano creduto in lei e nel suo modo di essere, sempre libera e battagliera, sempre pronta a cogliere ciò che agli altri sfuggiva, aperta e lungimirante, esempio di vita per chi ha avuto la fortuna di esserle amica.   

Mentre il “suo” secolo si chiudeva ingloriosamente in Italia e nel mondo, il destino l’ha strappata alla nostra quotidianità, ricordandoci di quanto Rossana avesse molto chiare le priorità dell’esistenza e di quanto i suoi valori non potessero non diventare anche i “doni” che lei stessa fece a tutti coloro che divennero parte della sua vita straordinaria.

di Stefania Lastoria

 

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