Lo “stellone” d’Italia, tra simbologia e memoria

Questo è lo stemma della Repubblica Italiana. È presente in ogni atto del governo, in ogni provvedimento ufficiale, sula porta delle stazioni dei carabinieri, sulla “paletta” della stradale.

Lo vediamo sempre ma, forse, non sappiamo bene perché.

Usando un termine più di moda, potremmo dire: il logo della Repubblica. Ma in realtà si tratta di un simbolo: il simbolo del nostro Paese, Stato, Patria o comunque vogliamo chiamarlo.

Un simbolo? Può sembrare, questo, un termine antiquato, magari troppo retorico per essere applicato a qualcosa di concreto, attuale ed importante come la terra in cui viviamo e lo Stato, che ci dà le leggi che regolano la vita sociale, e che provvede ad una parte importante dei nostri bisogni, come la sicurezza, l’istruzione, l’assistenza sanitaria… eccetera eccetera.

Ma non è retorica né roba d’altri tempi.

Simbolo vuol dire “accostamento, segno di riconoscimento, derivante dal greco συμβάλλω: mettere insieme, far coincidere”. Indica “qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile e a evocare in particolare entità astratte, di difficile espressione”: così spiega il Vocabolario Treccani.

È usato, molto più di quanto crediamo, in tutte le espressioni della cultura e dell’attività umana. L’arte è piena di simboli, in tutte le epoche ed in tutto il mondo, dalle statuette neolitiche, alle sfingi, alle gargoyle medievali, fino alle arti figurative contemporanee. Da Jung in avanti è strumento essenziale per comprendere – e curare – l’umana psiche. Ma è simbolico anche il linguaggio della matematica e della scienza, almeno da quando un persiano del IX secolo, Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī, in pieno e oscuro medioevo, nella Bagdad delle “mille e una notte”, ha inventato l’algebra e gli algoritmi, sostituendo i numeri con dei segni ancor più simbolici. Senza le sue intuizioni, oggi non avremmo i motori di ricerca: lo stesso termine “algoritmo” deriva dal suo nome, al-Khwarizmi. E dunque, per racchiudere il senso della relatività generale è sufficiente una scrittura simbolica: E=mc2. Ed è così anche per ciascuna delle conquiste più ardite della scienza e della tecnica: senza questi simboli, non saremmo arrivati sulla luna.

Quindi, nessun timore di riconoscere in quel disegnetto un simbolo che ci rappresenta tutti, noi italiani, come popolo e come Stato.

Tornando al “logo”, fu adottato nel 1948 dopo ben due concorsi aperti a tutti i cittadini. Ne fu autore Paolo Paschetto, ed è bello ricordarne il nome, ingiustamente caduto nell’oblio.

L’unica condizione che quei concorsi ponevano era che nello stemma figurasse una stella. Il perché ce lo spiega bene Tomaso Montanari[1] .

“Essa riporta una tradizione davvero molto antica che ha a che fare con il nome che i Greci davano all’Italia: Esperia, ci chiamavano così, vedendoci dalla Grecia, il paese che sta sotto la stella del vespero, del tramonto, cioè il pianeta Venere che appare la sera. È una stella particolare, la stella della sera, ma anche la stella del mattino. Se andate a messa il giorno di Pasqua sentirete parlare di questa stella, è una stella che non tramonta e dunque è stata presa come un simbolo della Resurrezione.

È una stella piena di significati. L’Italia è il paese della stella. È molto curioso che abbiamo nello stemma un’immagine dell’Italia che è stata fatta, creata, coniata, pensata da non italiani, non italiani per modo di dire perché i Greci sono venuti in Italia: i Greci d’occidente, la Magna Grecia. In questa stella, anche se gli italiani di oggi tendono a dimenticarlo, c’è l’idea che noi siamo aperti al Mondo, l’idea di Italia è un’idea che addirittura nello stemma della Repubblica è stata costruita attraverso un dialogo con altri popoli, siamo aperti, siamo meticci. L’Italia è “fatta di mille sangui” e il nostro stemma ce lo ricorda…”

Ma la stella è ancora di più. Ci collega al cielo. Ci consente di orientarci anche nel mare più vasto. Ci ricorda il destino e forse la fortuna, della quale abbiamo sempre più bisogno, a quanto pare. In ogni caso, rappresenta quel quidprovvidenziale o, comunque, sovraordinato all’agire umano, con cui dobbiamo pur sempre fare i conti.

La stella è posta su una ruota dentata, simbolo del lavoro. E infatti la Repubblica è “fondata sul lavoro”, come recita l’articolo 1 della Costituzione. Ma questo particolare strumento rappresenta anche le macchine che usiamo per lavorare: quindi l’inventiva, la tecnologia. E ci ricorda poi l’industria, cioè la capacità imprenditoriale. A differenza di un altro ben noto simbolo del lavoro – la falce e martello – ne comprende tutti gli aspetti e le componenti: l’operaio, l’ingegnere, l’imprenditore. Con pari importanza e dignità, senza supremazia o egemonia degli uni sugli altri, ogni ruolo è importante.

Attorno a questo nucleo centrale, due rami che sembrano abbracciarlo. Si tratta dell’ulivo e della quercia, due piante molto rappresentative del nostro territorio. Due alberi dalla grande forza simbolica.

L’ulivo, che nel racconto biblico rappresenta la riconciliazione dopo il diluvio, è universalmente riconosciuto come simbolo della pace. Anche questa è un valore fondante della Costituzione, secondo la quale “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

I rami d’ulivo, poi, sono il segno di festa con cui Gesù fu accolto a Gerusalemme: un simbolo di gioia, felicità.

L’olio, che ricaviamo dai frutti di questo splendido albero, è simbolo di sacralità e regalità: il gesto antico dell’unzione, che consacra un re o, con il battesimo, un bambino appena nato. Una sorta di oro vegetale, per il suo colore, e perché è il principe degli alimenti, che fa dei nostri contadini dei piccoli re o dei laici sacerdoti.

La quercia è l’albero forte per antonomasia. In latino è detta robur, che vuol dire anche solidità, durezza, forza: donde l’italiano «robusto». Il suo legno è durissimo e resistentissimo, inattaccabile da tarli e termiti, sì da essere usato per le antiche navi da guerra da pisani, genovesi e veneziani.

Quindi rappresenta la forza, la “virtus”, la perseveranza, la resilienza: la …resistenza nel caso dello stemma della Repubblica, concepito quando ancora della resistenza ci si ricordava bene.

Beh, a pensarci bene, forse questo simbolo non ci rappresenta proprio tutti. Forse non vorrebbe rappresentare quelli che tendono a dimenticare la nostra storia e i valori fondanti della Costituzione, o quelli che credono più nei simboli di partito che nel simbolo d’Italia, o in altri simboli di uso più strettamente individuale; per esempio questi: $, £, €. Ma, anche se non ce lo meritiamo pienamente, alla fine siamo tutti rappresentati da quel “logo” e dai simboli, così densi di significato, che esso contiene, e dovremo sempre ricordarcene.

In questi giorni cadono tre ricorrenze.

Il 20 gennaio Stampacritica ha festeggiato i 10 anni di attività. Vorrei perciò dedicare il significato dello stemma italiano al gruppo di generosi e scapestrati sognatori che ha dato e continua a dar vita a questo periodico: almeno loro, di quel simbolo, mi sembrano degni.

Il 25 gennaio di 5 anni fa Giulio Regeni inviava il suo ultimo messaggio prima di scomparire per sempre. Anche lui è degno di essere rappresentato da quel simbolo, come i suoi genitori, gli unici italiani che si sono ricordati che la legge di questo Stato vieta l’«esportazione ed il transito di materiali di armamento verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti».

Il 27 è il Giorno della Memoria, stabilito dall’ONU per commemorare le vittime della Shoà. Ma vorrei ricordare, oltre alle vittime, la facilità con cui un’importante parte d’Europa ha coltivato e trasformato in leggi e fatti concreti l’odio “razziale” e la supposta superiorità di un popolo sugli altri. Allora, ricordiamoci che quel simbolo repubblicano, con la sua stella, la sua ruota d’ingranaggio, il suo ulivo e, soprattutto, la sua quercia, ci difende dalla deriva insensata che allora fu presa. Perché, si sa, esistono anche i ricorsi storici.

di Cesare Pirozzi

 

[1] Tomaso Montanari, “A che cosa serve l’arte”, citato da https://www.welfarenetwork.it/la-repubblica-italiana-questo-e-il-nostro-simbolo-tomaso-montanari-20200607/

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