Confine umano

Quattromila “fratelli”. Quattromila bambini. Quattromila donne. Quattromila uomini. Quattromila “noi”. Presi tra due fuochi. Spinti dal regime bielorusso, cercano di attraversare la frontiera polacca ma trovano schierato, in assetto di guerra, l’esercito che li respinge. Uno degli eserciti dell’Europa. L’Europa dell’euro, della Bce, della finanza e delle multinazionali, di Big Farma. L’esercito della Polonia, che è parte integrante dell’Europa, li respinge. In assetto di guerra. L’Europa pensa a sanzioni contro la Bielorussia. La Nato pronta ad intervenire. Ma non per accogliere. Per respingere. Per respingere i nostri figli, che chiedono acqua (leggi articolo di copertina) che chiedono pane, che chiedono aiuto. Sono nostri figli, non sono migranti come vogliono etichettarli. Sono nostre sorelle, sono nostri fratelli, basta usare il termine migrante per allontanare la loro sofferenza da noi. L’empatia con una condizione al limite della sopravvivenza, si percepisce se condividi la condizione non solo materiale, del luogo, ma anche del rapporto di sangue. Sono nostri figli, quei bambini aggrappati ai fili spinati che chiedono acqua. Sono nostre sorelle le donne con i vestiti bagnati, le scarpe infangate e i capelli sporchi, non sono migranti. Sono nostri fratelli gli uomini che cercano legna per accendere un fuoco dove scaldarsi per non morire di freddo. Sono li. Da giorni e giorni. Abbandonati a se stessi. I notiziari delle televisioni, i giornali, i mezzi d’informazione, scrivono che ci sono migliaia di migranti ai confini della Polonia, sospinti da LuKashenko. Forse è vero. Sicuramente gli Stati giocano sulla pelle delle persone. Ma dire migliaia di migranti, allontana il problema da noi. Lo spersonalizza. Dire migranti toglie il dramma al dramma, non lo accomuna con noi. Per questo possono dire, senza che nessuno si indigni, faremo sanzioni contro LuKashenko. Per questo possono mandare l’esercito in assetto di guerra contro i “migranti”. Ma se diciamo nostri fratelli. Migliaia di fratelli e sorelle al confine, al freddo, alla fame, aggrappati a fili spinati, allora sentiamo la rabbia per come i governi, l’Europa, ci prende in giro. Non puoi inviare l’esercito per fermare i nostri fratelli. Non puoi dire sanzioni, e lasciare i nostri figli senza acqua. No. Basta. Raccontiamo gli avvenimenti per come sono, per come accadono, sentiamoci fratelli o sorelle o genitori di quei bambini che chiedono acqua.

Ci sono i volontari. Ci sono famiglie di contadini, polacchi e bielorussi, che donano viveri, quei pochi che hanno. Donano pane, quel poco che hanno. I volontari passano davanti alle case, raccolgono, mettono dentro gli zaini e partono. Ripercorrendo lo stesso percorso dei loro fratelli, che tengono per mano i loro figli, per distribuire quel poco che hanno raccolto. Spesso vengono malmenati. Spesso non riescono a raggiungerli, vengono fermati dalla polizia. Intanto, sulla linea di confine, il governo di Varsavia ha inviato 22 mila soldati in assetto di guerra per fermare quattromila “sorelle, fratelli, figli”. Mi viene da pensare che invece di inviare soldati, che consumano 22 mila pasti, colazione, pranzo e cena, oltre a migliaia di litri di acqua, potevano distribuire quei pasti, avrebbero risparmiato, avrebbero fatto una opera di bene. Avrebbero dimostrato che amare il prossimo non è uno slogan vuoto ma un gesto che ci appartiene, perché sentirsi fratelli significa essere una sola grande famiglia, dove i fascismi sono abiliti e la solidarietà nasce dall’affetto di sentirsi parte di un mondo senza confini, senza eserciti e senza armi.

di Claudio Caldarelli

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