Cine-pillole d’inizio 2022 con picco pandemico

Diabolik. Non tiene. Tiene solo Valerio Mastrandrea nella parte dell’ispettore Ginko, e Serena Rossi – che però ha un ruolo minore – quale prima malinconico-disperata compagna di Diabolik. Miriam Leone, bellissima Eva Kant, in aderentissimo fisic du role, ma poco e niente in quanto a fascino e personalità. Anche Luca Marinelli slitta, come una frizione un po’ consumata. Nonostante le promettenti premesse e il montaggio a quadri sfalsati, come nell’originale fumetto, l’analisi chimico-emotiva non rivela tracce di riferimenti a coinvolgenti attualizzazioni di senso.

Un eroe. Punto debole: il respiro. Un detenuto per debiti non restituiti gode di una licenza premio di appena qualche giorno. La sua compagna ha trovato una borsa smarrita con delle monete d’oro. Con queste cercano di estinguere il debito, anche se il loro valore non arriva neanche alla metà della cifra dovuta. Inizia un forsennato carosello di situazioni con colpi di scena e capovolgimenti a catena. Fa da sfondo uno dei temi prediletti del regista iraniano: quello della doppia verità. Un nodo inestricabile di simulazione, menzogna, ipocrisia sociale che avvolge tutti i personaggi, perché è un carattere di fondo della loro realtà. Come l’attacchino comunale di De Sica non ritrova la sua bicicletta e il ladro, così qui non si ritrova quella borsa, come metafora della verità. Il quadro sociale è apprezzabilmente ampio e affilato. Eppure di questo film non si riesce ad apprezzare un solo attimo di silenzio, di respiro. L’immagine e i dialoghi sono sempre eccessivamente sovraccarichi. Gran Premio della Giuria Cannes 2021.

C’è un soffio di vita soltanto. Documentario d’inaspettato valore. Lucy Salani si chiamava prima Luciano, ma si sentiva donna fin da bambina. Oggi ha 92 ed è stata la prima trans italiana. Diserta il regio esercito fascista, ma viene catturata e deportata a Dachau, sia come disertore, sia per la sua devianza. Nel campo di concentramento e sterminio viene messe a trasportare i cadaveri ridotti a scheletri. La macchina da presa esplora ogni espressione, taglio della sua faccia e della sua voce particolari. Esse, infatti, sono una vera accidentata superficie geografia in sé, che comunica con un sottosuolo umano inatteso e sorprendente.

Il bambino nascosto. Per chi l’ha perso, ancora in qualche sala. Napoli, Forcella, quartiere di pasta ammiscata, dove in una stessa via possono convivere borghesia e camorra. Un bambino scappa di casa e si va a rifugiare nell’appartamento al primo piano dello stesso palazzo dove abita un professore di musica. Il prof istintivamente lo nasconde e lo protegge, anche se poco alla volta capisce che si è ficcato in un grosso guaio. Napoli diventa la metafora esistenziale di un male, di un’illegalità che diventano ancora più inaccettabili, perché finiscono sempre per ritorcersi soltanto sugli innocenti, i giusti che nessuno difende. Dopo Aria ferma, Silvio Orlando conferma il suo attuale stato di grazia attoriale.

Il capo perfetto. Non male. È un azienda modello nella produzione di bilance di precisione. Anche se l’insegna d’ingresso ai suoi stabilimenti riprende molto la forma di quella tristemente celebre di Auschwitz. Proprio mentre l’azienda è in procinto di ricevere la visita di una commissione per l’assegnazione di un prestigioso premio imprenditoriale, comincia ad allargarsi una maglia di crepe interne che potrebbero far perdere l’agognato riconoscimento. Il proprietario cerca di rimettere a posto ogni tassello con un’azione in puro stile paternalista. Ma quando si arriva al midollo dei conflitti e degli interessi in gioco, basterà la retorica del buen patrón, o si deve andare più al sottosuolo di quell’insega? Bueno Javier Barden nel personaggio pateticamente istrione del protagonista. Candidato agli Oscar 2022 per la Spagna.

West Side Story. Remake da riafferrare. Così come ha voluto riafferrarlo Steven Spielberg a cinquant’anni dal film tratto dal celebre musical di Broadway con le musiche di Leonard Bernstein. Che a sua volta era la versione yankee di Romeo e Giulietta, ambientata tra gli slam di New York, con bande di ragazzi bianchi e portoricani in spavaldo conflitto tra loro. Spielberg attualizza e radicalizza gli elementi politici, sociali, della violenza razziale, poliziesca e contro le donne, perché alla fine sono soltanto loro a venir doppiamente uccise nel loro continuare a restare tragicamente in vita. Il regista, però, ci dà anche una magistrale lezione di come musica, celebri canzoni e cinema possono toccare alti livelli. 3 Golden Globes 2021, 2 National Board 2021, 1 AFI Awards 2022.

The Naked Mountain. Documentario alpinistico. Immagini mozzafiato sulla prima scalata invernale del Nanga Parbat, organizzata dall’alpinista basco Alex Txikon, e realizzata con successo insieme al pakistano Ali Sadpara e all’italiano Simone Moro. La Montagna Nuda del titolo, o Montagna Assassina, è il nome riservato a questo Ottomila Metri, di cui vengono ricordate tutte le precedenti spedizioni e le vie aperte, tra cui quella di Reinhold Messner e di suo fratello Gunter, morto durante la loro scalata nel 1970. Il film narra anche dalla ricerca, compiuta da Txikon e Sadpara, dei cadaveri dispersi di una, tragica spedizione successiva alla loro. Quella tentata da Daniele Nardi e Tom Ballard nel febbraio del 2019. I due corpi furono ritrovati sotto un crepaccio della pista Mummery, via che sia Txikon, sia il vecchio Messner avevano sconsigliato all’alpinista italiano. Un dubbio sorge a vedere questo pur bel film: me se proprio si deve “conquistare” una vetta (già questo potrebbe essere discutibile) lo si deve fare proprio d’inverno, nelle più micidiali condizioni climatiche. Solo per misurare i nostri limiti?

America Latina. Non regge. Soprattutto non si regge. Massimo è uno stimato dentista della provincia di Latina. È felicemente sposato e padre esemplare di due bellissime figlie. La più piccola suona già bene il prestigioso pianoforte a coda, dentro la loro architettonica villetta con piscina. Domina il blu e tutto appare alla superficie perfetto: tema questo privilegiato dai due autori registi i Fratelli D’Innocenzo. Poi una sinistra scoperta sotto la superficie. A questo punto il film si fa buio, psicotico, vuotamente presuntuoso. Una trovata, come si dice in gergo cinematografico, cui Hitchcock avrebbe al massimo dedicato uno dei suoi filmetti tv da scarsa mezzora, ma con più sapiente e meno pretenziosa maestria narrativa. Elio Germano, per quanto cerchi di dare il meglio col suo personaggio, anche sapientemente dosandolo, non può fare certo miracoli.

True Mother. Originale e intenso su un tema già visto. È il tema – per dirla alla Almodovar – delle madri parallele. Qui, però, preso dal lato dell’adozione, da parte di coppie che non possono avere figli, di bambini avuti da ragazze adolescenti. Adozione coperta da stretto anonimato e in Giappone molto diffusa, tanto che sono nate associazioni specializzate per realizzarla nei modi più protettivi per le giovanissime mamme. La prima parte ha anche tratti da cinema documentaristico, da cui proviene la regista. La seconda parte entra nella materia più drammaticamente narrativa, e lo fa in maniera autenticamente intensa.

Vampyr. La strana avventura di Allan Gray. Opera restaurata in 4 K da Cineteca di Bologna. Nel 1932 il danese Dreyer realizza questo film di genere per far rientrare i produttori delle perdite subite con La Passione di Giovanna D’Arco, film capolavoro, tanto lodato dalla critica quanto ignorato dal pubblico. Vampyr, però, andò ancora peggio. Non poteva essere diversamente. I grandi geni del cinema, infatti, entrano in un genere minore, in questo caso l’horror, per stravolgerlo. Ne conservano gli stilemi, i cliché base, ma per solo per farne occasione grande cinema, nel senso dell’arte e dello stile. È anche il primo film sonoro di Dreyer. Solo oggi capiamo quanto molti grandi registi del ‘900 abbiano assorbito e riprodotto nei loro film le atmosfere, la fotografia, il respiro inedito di quest’opera. Il magistrale intreccio di luci e ombre, infatti, era già un netto superamento dell’Espressionismo tedesco, ed apriva a nuove possibilità espressive. 4K è un formato digitale che consente una visione quattro volte superiore a quella prima normalmente consentita. Restaurata nitidamente anche la pista audio della colonna musicale.

Tiepide acque di primavera. Imperdibile per cinephiles. Prima parte di una trilogia che è una Heimat cinese, anche se in ambiente sociale e culturale inferiore, e con riferimenti antropologici naturalmente diversi. Quattro fratelli tra loro diversi, con vicende personali e familiari contrastanti tra loro, nella odierna provincia di Shangai. Grande capacità di narrare attraverso panoramiche orizzontali e verticali e lunghi piani sequenza che non sono un mero esercizio di stile, ma una tessitura di profondo senso esistenziale. La natura e soprattutto il fiume sono lo scenario cui la macchina da presa torna costantemente come a uno sfondo ancestrale, originario, che la geografia e l’antropologia urbana contemporanea non riesce ancora a sopraffare. Durata 150 minuti.

di Riccardo Tavani

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