Il ritrovamento della Mummia Juanita

Quando si parla di mummie il nostro pensiero, inevitabilmente, si sposta sui misteri e sui ritrovamenti in Egitto, alle piramidi.

Di fatto sono stati ritrovati anche in altri luoghi del mondo, corpi umani intatti, conservati, spesso, dal solo gelo, che hanno permesso di ricostruire costumi, usi, alimentazione delle popolazioni di quei territori.

Tra i ritrovamenti più interessanti, ad opera dello studioso Johan Reinhard, in Sud America abbiamo le mummie di tre giovanissime vittime sacrificali ritrovate sul vulcano Llullaillaco nel 1999, conosciute come  i Figli di Llullailaco, e la mummia Juanita, conosciuta anche come la Vergine congelata o Signora di Ampato, ritrovata nel Perù meridionale, sul monte da cui ha poi preso anche il nome.

A quest’ultima scoperta partecipò anche il collega peruviano di Reinhard, Miguel Zarate.

E’ incredibile come il ghiaccio sia riuscito a preservare, dopo secoli, l’integrità di questi corpi.


Nel corso di una scalata del monte Ampato, nel 1992, furono notate, da Miguel Zarate, delle pietre disposte con un preciso ordine, che testimoniavano la presenza di attività umana a circa 6300 m di altitudine. Non fu possibile un’indagine immediata ma la scoperta non fu dimenticata, solo rinviata. Passarono tre anni prima che, lo stesso Zarate, in compagnia di Johan Reinhard, organizzata una nuova esplorazione, tornasse in cima all’Ampato per indagare su quei resti.

Era il 1995 quando agli occhi sorpresi dei due alpinisti si presentarono dei resti della civiltà INCA, sotto forma di statue, offerte e salme.

Considerato il trascorrere del tempo, secoli, i due con uno stratagemma calcolarono il luogo in cui gli spostamenti del ghiacciaio potevano aver spostato alcuni dei resti e fu in questo modo che Juanita, la Signora di Ampato, fu ritrovata, addormentata nel suo lunghissimo sonno.

Lo studio del corpo mummificato e conservato dal freddo avrebbe, poi, rivelato che la giovane donna era stata probabilmente uccisa a 12 anni, poco più che bambina, durante un rituale in onore dei sanguinari dei Inca.

I bambini destinati al sacrificio, scelti tra i più belli e sani, venivano condotti sul monte a piedi, durante un’ascesa sicuramente faticosa, alleviata nella sua durezza da foglie di coca, bevande alcoliche.

Da studi effettuati sia su Juanita che sui figli di Llullaillaco, sembrerebbe inoltre che scelti i bambini, questi venivano nutriti per qualche mese in modo migliore, con un’alimentazione che comprendeva carne, mais, cibi normalmente destinati alle classi più agiate e ricche della popolazione.

Le tracce di  coca e le bevande alcoliche, ritrovate nel corpo delle giovani vittime, sono state identificate grazie allo studio condotto sui capelli delle mummie ritrovate sia in Perù che, come nel caso del vulcano Lllullaillaco, tra Argentina e Cile.

A cosa servivano coca e alcool e perchè venivano, in qualche modo, drogati questi bambini?

Molto probabilmente per fiaccarne resistenza, per renderli più docili, nel periodo di forzato allontanamento dalle famiglie e, poi, per condurli senza troppo difficoltà verso il luogo in cui sarebbero stati uccisi.

L’uccisione avveniva in vario modo: soffocamento, un colpo in testa, congelamento. Sepolti vivi, imbottiti di droga, si addormentavano al freddo che li faceva scivolare dal sonno alla morte.

Le ragioni di questi sacrifici, per noi orrendi, sono da ricercare nella convinzione che con il sangue di giovani vittime si potesse placare la sete violenta degli Dei che vivevano sui monti, dei vulcani o forze che, periodicamente, distruggevano e devastavano parte del territorio.

I figli di Llullaillaco, come Juanita, la fanciulla dei ghiacci, si propongono al nostro sguardo, oggi, in tutta la loro innocenza e fragilità.

Hanno un’età variabile di circa 5, 7, 12/14 anni. Erano giovani vite, scelte perchè senza difetti, perchè gli Dei avrebbero gradito un sacrificio tanto prezioso. Per qualche tempo, un anno, venivano trattati con particolare cura. Poi nel rituale finale andavano incontro alla loro tragica fine, con una drogata rassegnazione, senza probabilmente comprendere del tutto, a cosa stavano andando incontro.

I bambini furono sacrificati nel corso della Capacocha, una cerimonia dedicata al Dio Sole di cui gli Inca imploravano la benevolenza. Sacrificare un figlio significava per le famiglie avere accesso alle classi sociali più elevate di Cuzco e non c’era resistenza da parte delle stesse a questi sacrifici.

Gli studi condotti su queste tre giovani mummie hanno permesso, inoltre, di comprendere che si trattava di un rituale che, con vari momenti, si prolungava per circa un anno. Coca e alcool, oltre a creare uno stato di alterazione di utile sedazione, aggiungevano un carattere di sacralità alla sanguinosa cerimonia. 

I nostri occhi si posano sui loro resti intatti con un misto di stupore e tenerezza. 

Patrizia Vindigni