Piccoli italiani crescono

Ignazio era un bravo bambino, educato, diligente a scuola e pure (anche se non si direbbe) carino. Era gentile e sorrideva a tutti. In tram era il primo ad alzarsi per far sedere le persone anziane e le belle signore. Tra i suoi primati, il record di attraversamenti stradali (esclusivamente sulle strisce bianche) di vecchie signore. A dire il vero però, diciamolo, (lo sanno in pochi) pur di ottenere il record, in un pomeriggio fece attraversare la strada (nello stesso punto) ad una inconsapevole e confusa signora, almeno quattro volte, una dietro l’altra. Un piccolo peccatuccio, che la dice lunga sulle sue buone intenzioni. Insomma, davvero un bimbetto felice. Fino a quando, un bel giorno suo padre non portò a casa un busto di un semidio (così sosteneva il genitore) dallo sguardo arcigno. Quel busto gli incusse da subito timore, tant’è che faceva di corsa il corridoio pur di sottrarsi a quello sguardo che sembrava lo seguisse ovunque, anche quando si chiudeva in bagno dopo aver visto un film con Claudia Cardinale. A poco a poco il suo sorriso si spense, trascurò le vecchiette e divenne svogliato a scuola. Un giorno il papà, che s’era avveduto di quanto Ignazio avesse paura di quel busto, lo prese da parte e gli disse: “Sai qual è il tuo secondo nome? Benito, e Benito è il nome di chi quel busto rappresenta ed è il tuo angelo custode, figlio mio. Lui ti guiderà, sarà il tuo faro, anche quando io non ci sarò più”. Bastarono queste poche parole sentite perché Ignazio, da quel momento, sapesse cosa il futuro gli prospettasse e ritornò ad essere il bambino di prima.

Anche Giovanni era un bravo bambino e bravo a scuola. La mamma gli aveva sempre detto che avrebbe dovuto studiare tantissimo se non voleva fare come suo fratello maggiore, che già lavorava in fabbrica. Anche Giovanni, quando con la mamma andava in chiesa, si alzava per far sedere le vecchie signore. Anche Giovanni era un bimbetto felice, anche se sorrideva di meno. Una domenica, tornando dalla messa, notò su di una bancarella che vendeva souvenir, un busto dallo sguardo arcigno. Chiese alla mamma chi fosse quello del busto e la mamma tirandolo per la giacchetta, come infastidita da quella domanda, gli rispose: “Era uno che faceva arrivare i treni in orario”.

Giovanni pensò allora che fare arrivare i treni in orario dovesse essere un lavoro importantissimo se addirittura gli dedicavano un busto e decise quindi in quel momento che avrebbe voluto fare quel lavoro.

  • Mamma, era un capo stazione allora?
  • Diciamo che era il capo dei capo stazione.

Qualche metro più avanti su di un’altra bancarella c’era invece un altro souvenir con l’immagine di quello che faceva arrivare i treni in orario, sempre con lo sguardo arcigno, con una scritta “Aridatece er Puzzone”

  • Mamma, hai letto? Perché era Puzzone? Faceva le scorregge?
  • Noo, che dici? Era un puzzone perché…i treni puzzano, tu non la senti la puzza quando andiamo con il treno a Napoli? Entra nel naso e non va via…

Giovanni pensò che non gli sarebbe piaciuto essere un puzzone: avrebbe fatto un altro lavoro, magari il profumiere, avrebbe combattuto le puzze per tutta la vita.

Paolo Sabatino

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