Storie di stragi e di uno Stato assente

Giusy

La Piana di Gioia Tauro è un’attrice zona tristemente nota, senza bisogno di troppe spiegazioni, a calabresi e non: probabilmente una delle terre che più negli anni ha visto versare sangue a causa dell’alta densità mafiosa. E altrettanto nota, soprattutto a chi nella provincia reggina ancora vive, è la strage di Razzà, in cui nell’aprile del 1977 morirono i due carabinieri Vincenzo Caruso e Stefano Condello.
Razzà è una frazione di Taurianova, piccola cittadina della Piana. I due carabinieri, insieme al collega Pasquale Giacoppo, stanno percorrendo la statale 101-bis, quando la loro attenzione è attirata da alcune auto parcheggiate attorno ad un casolare. Alcune delle auto sono segnalate in quanto appartenenti a dei pregiudicati, mentre la frazione è nota per la presenza del pregiudicato Francesco Petullà: lasciando Giacoppo in auto, Caruso e Condello decidono di avvicinarsi all’abitazione per controllare, arrivando così ad interrompere una riunione di ‘ndrangheta in corso. All’interno del casolare sono infatti riuniti membri della cosca Avignone, tra le più potenti nella provincia reggina. A seguito dell’immediato conflitto a fuoco, i due carabinieri perdono la vita, insieme a due membri della famiglia mafiosa, Rocco e Vincenzo Avignone, che si “sacrificano” per permettere agli altri di fuggire. Tra i presenti al summit mafioso vi erano infatti importanti boss e molto probabilmente politici di zona riunitisi per spartirsi appalti pubblici e definire dettagli di traffici illeciti: durante il processo emergerà, tra gli altri, il coinvolgimento dei sindaci di Canolo e Rosarno, paesi limitrofi a Taurianova.
A quasi quarant’anni dalla strage, e a processo concluso, non possono definirsi del tutto chiariti coinvolgimenti e circostanze in cui morirono Stefano Condello e Vincenzo Caruso. Ai due carabinieri è stata concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare, ma, come sottolineò ai tempi del processo il presidente della Corte Saverio Mannino, in questo caso lo Stato non si è costituito come parte civile. E, a distanza di anni, non è riuscito in questo caso ad essere presente come dovrebbe, in caso di vittime della mafia: i familiari di Vincenzo Caruso non hanno ottenuto alcun risarcimento. La sorella di Caruso, nel 2005, si è tolta la vita dichiarando di non sopportare più l’assenza di aiuto che a lei e familiari era dovuto. Ed assenze del genere riescono a rendere vano ogni eroismo, ogni gesto civile.

di Giusy Patera

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