10 agosto: lucean le stelle

Ce le siamo dimenticate, le stelle, nel buio artificiale delle notti coi fanali. Per vederle ci dobbiamo spostare per strade sterrate fuori città, lontani dall’inquinamento luminoso dei lampioni, stenderci a terra e guardare all’insù. Ci mettiamo un po’ a renderci conto del disegno del cielo, chè a furia di fissare lo schermo di un telefono, o di un televisore, a guardar lontani non siamo più abituati. Tenera è la notte e senza vento. Sull’erba, sdraiati con il cielo negli occhi, aspettando una stella cadente, per saperne di più invitiamo gli astrofili.
Gli astrofili il cielo lo sanno: la luna, il sole, le stelle, i pianeti ce li hanno mappati dentro, li hanno impressi nella mente e credo anche nell’anima. Con un puntatore luminoso, a metà tra una spada di Guerre Stellari e la bacchetta magica di Mago Merlino, attraversano il buio fino a catturare le stelle. E’ scienza, la loro, ma sembra magìa.
Gli astrofili le stelle le sanno chiamare per nome: Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar, Alkaid, sono sette le vaghe stelle dell’Orsa. L’anagrafe delle profondità del cielo rimanda alla narrazione più antica. Da sempre l’uomo si è specchiato nelle geometrie dei corpi celesti e lì ha appuntato “le lacrime e i sospiri degli amanti”, gli errori e le follie, i sogni, le visioni e le umane illusioni, i “vani disegni che non han mai loco”, in un intreccio di miti e di leggende che ancora ci raccontiamo. Narrazioni fantastiche, come quella dell’Orsa Maggiore, storia di uno sguardo e di un istante senza fine.
Calliste tra le ninfe dei boschi era la più bella. Zeus la prese per il tempo di una notte, le generò un figlio, ma non la salvò dall’ira di Giunone gelosa, che trasformò la ninfa più bella in un’orsa sgraziata. Il figlio ormai grande ritrovò l’orsa durante una battuta di caccia: era sua madre, ma non la riconobbe. L’avrebbe uccisa, già la freccia incoccata sull’arco, se la pietà degli dei non avesse congelato quell’attimo per l’eternità, fissando l’ultimo sguardo tra madre e figlio nella sfera celeste: brilla Calliste, da allora e per sempre come Orsa Maggiore, vicina ad Arturo, suo figlio, stella gigante arancione, che guarda ogni notte la madre.
Osserviamo le luci delle stelle che arrivano da tanto lontano e hanno impiegato molti anni per arrivare fino a noi sulla Terra mentre ascoltiamo storie che vengono anch’esse da terre lontane e da secoli antichi e che disegnano figure di costellazioni che sono ancora qui adesso, immutate, davanti ai nostri occhi. Tutto ciò ci fa sentire eterni. Niente questa notte ci sembra scontato e possiamo ancora illuderci che sia il cielo stellato a girare intorno a noi.
Prima che Copernico fermasse il Sole e gli facesse ruotare intorno la Terra, per millenni l’uomo ha pensato di essere il perno sul quale il cielo muove; ancora dopo secoli la rivoluzione di Copernico resta così poco evidente, così in contraddizione con i nostri sensi e con il nostro linguaggio, che ognuno di noi, sdraiato a guardare nel buio, sa di avere a che fare con una formula imparata a memoria, di un sapere non saputo. Perché sotto il cielo dei naviganti e degli oroscopi, della semina dei contadini e delle botti dei vinai, sotto il cielo che detta le stagioni, che muove i parti e le maree, il miracolo più grande dopo il Big Bang restiamo ancora noi, a tramandarci nel tempo, coi nostri miti e le nostre leggende.

di Daniela Baroncini

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