Fuoricampo, il calcio è solo un pretesto

Gli occhi di Chijioke sono sgranati, pieni di confusione e paura quando gli spiegano che sta per firmare il suo primo contratto da calciatore. Non parla benissimo l’italiano, gli altri non sanno quasi niente di inglese. “Io provo ad aprirmi con le persone, a spiegare le mie sensazioni. Ma non riesco a farmi capire”. Attaccante, classe 1996, è una delle tre storie che il collettivo Melkanaa racconta nel documentario “Fuoricampo”.

Nata durante la prima edizione del Master in Cinema del Reale dell’Università degli Studi Roma Tre e nelle sale dallo scorso 18 ottobre grazie a Distribuzione Indipendente, la pellicola racconta la storia della Liberi Nantes Football Club, squadra romana composta interamente da rifugiati e richiedenti asilo. Partecipano al campionato di Terza Categoria, ma senza poter concorrere al titolo. La maggior parte dei calciatori infatti non ha i documenti necessari al tesseramento per la Federazione.

Fuoricampo mette in luce questo circolo vizioso di pratiche e attestati, nullaosta e fogli firmati. Il labirinto della burocrazia italiana, la vita sospesa, la sensazione di vuoto. “Non ho lavoro, non ho documenti, non ho niente. Mi scoppia la testa. Queste cose mi confondono, non ci capisco niente”, si confessa nello spogliatoio Abdoulaye Seck. A lui è dedicato il secondo capitolo del documentario, tre parti, tre ragazzi, tre ruoli. Attacco, centrocampo e difesa. Perché in un presente fatto di file infinite, tempi morti e attese inutili, c’è anche altro. Fuori dai corridoi asettici dei Centri di Accoglienza, fuori dalle questure, dalle stanze con dentro un materasso affittate a 200€ al mese. Ci sono i sogni, c’è il calcio.

C’è Maxwell, che sogna di incontrare Francesco Totti, “un re rispettato da tutti”. C’è Chichi, anzi “Gigi” per il suo allenatore, che dopo la Liberi Nantes e la Giardinetti immagina di arrivare al Napoli, alla Juventus, al Milan. Sogni enormi, grandi, difficili. Sogni reali: “Voglio essere parte di qui. Voglio rimanere in Italia”. E il calcio serve anche a questo: sentirsi parte di qualcosa, inseguire un obiettivo, stringere rapporti. “Quando sto con altri compaesani miei, altri gambiani, magari penso che siamo in Gambia – racconta Mohamed, portiere della Liberi Nantes – qua ho amici ma non è come quando stavi a casa tua, qui ognuno sta da solo”.

Parole e sguardi, ferite del passato e sogni del futuro, frammenti di vita quotidiana. Fuoricampo dà voce a tutto questo. In un racconto dove, ancora una volta, il calcio è solo un pretesto.

di Lamberto Rinaldi

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