Chi ha rubato la giovinezza di Daniela Ripetti?

La giovinezza di Daniela Ripetti è il suo stesso sguardo. Intatto, incontaminato: a dispetto, a disdetta del potere del tempo e di ogni altro potere folle iscritto sotto il suo dominio. È la giovinezza stessa che ci guarda, ci riguarda, ci cerca, ci chiama. La sua è la giovinezza poetica e politica di una stagione storica incandescente per bellezza,  irruenza e suadenza. Una generazione che osa guardare direttamente in faccia il potere, e questo suo puro sguardo appare immediatamente come un assalto al cielo. Esso, infatti, svela, sfida e insieme mette sotto scacco la finzione, l’inganno, la menzogna di una democrazia bloccata, castrata. E per tale sguardo di parola, Daniela Ripetti paga il prezzo di una giovinezza che le è rapinata, tra l’uscita dal portone della scuola a Pisa e l’ingresso in quello dell’Università a Roma. Quindici mesi di galera per la sua bellezza, uno dei tratti esistenziali della giovinezza che ogni potere agogna di più sottomettere. Lo racconta direttamente lei in Una giovinezza rubata, Memorie di Guerra Fredda, edizioni Book & Company. Un libro che è insieme la rigorosa ricostruzione di un quadro storico mondiale sconvolgente.

Quella nata già castrata è la democrazia italiana sorta dopo la caduta del fascismo, la fine della seconda guerra mondiale, e la spartizione del mondo nel duopolio planetario Usa-Urss, Stati Uniti d’America-Unione Sovietica. Tale spartizione si basa su un accordo non scritto, ma proprio per questo ancora più imperativo. Esso prevede che in Italia la sinistra non possa, non debba andare al governo: ossia non possa mai vincere le elezioni. È un patto segreto, però, tra due potenze che proprio non si fidano l’una dell’altra, anzi, all’opposto si temono, si minacciano e si scrutano militarmente in cagnesco a vicenda. Così dietro l’interdetto italiano, Usa e Nato erigono un apparato spionistico, propagandistico, armato, che recluta e usa la peggiore teppaglia reazionaria, fascista e mafiosa, ai fini di azioni terroristiche e anche di un colpo di Stato, necessitando, per impedire la compiutezza politica e sociale della nostra democrazia. Una fitta, macabra rete che ha preso vari denominazioni, quali Gladio, Stay Behind, ma sempre sotto la direzione di Cia e servizi segreti dell’esercito americano. La cornice generale è chiamata Guerra Fredda, per distinguerla da quella appena militarmente combattuta su tutti i fronti mondiali, anche se in realtà pure fu ancora molto calda. Paese a sovranità limitata, è stata definita l’Italia. E la partita politica che si gioca appare ormai intollerabilmente truccata ai giovani che irrompono in quegli anni sulla scena politica con una carica innovativa che rimette in discussione tutto: fondamenta, sotterranei, tunnel segreti, sepolcri imbiancati.

Per questo proprio la giovinezza appare presto agli strateghi del freddo e del buio come l’obiettivo caldo, luminoso da bersagliare a tappeto. Non solo in Italia, in tutto il mondo, ma in Italia particolarmente. Daniela Ripetti, già a  quattordici anni conclude con la rosa della croce cristiana e la Città Futura di Gramsci una sua poesia. Suo padre è stato partigiano, politicamente impegnato, anche nel campo dello sport. Una bellezza poetica precoce, che anticipa quella sviluppata, una volta uscita dal carcere romano di Rebibbia, quale esponente tra le più convincenti della poesia d’avanguardia del nostro secondo Novecento. Sulla soglia dei diciott’anni la grazia ontologica della sua giovinezza è ricercata da fotografi, registi cinematografici come Fellini, attori e autori di teatro, come Carmelo Bene, cantanti rock internazionali. Si ritrova sulle pagine di giornali e riviste insieme a John Lennon, ad Antoine (quello delle pietre in faccia). È proprio il mostro di bellezza, fisica e ideale, da sbattere scandalisticamente in prima pagina. La notte del 23 aprile 1968 sei agenti irrompono nella sua stanza di studentessa a Roma e la portano in Questura. La mattina successiva tornano nella stanza vuota e dichiarano di avervi trovato 0,45 gr di hashish. Sufficienti per continuare a sbatterla sui rotocalchi per tutti i quindici lunghi mesi della sua assurda detenzione a Rebibbia. Cento giorni per ogni 0,10 gr di quel neanche mezzo grammo di niente. Il processo – scandalosamente rimandato – dimostrerà infatti che quella “rinvenuta” non è proprio per niente una sostanza drogante. Quattrocentocinquanta giorni rubati, estorti alla sua giovinezza. Quattrocentocinquanta giorni di segregazione che le accorceranno l’arrivo prima di un’anemia che cresce in lei progressivamente, poi di un tumore che la colpisce ferocemente qualche anno più tardi.

La guerra fredda, nel suo versante contro l’impegno culturale e politico dei giovani, assume le forme di una guerra non ortodossa, psicologica, neuronale, chimica, proprio nel senso delle sostanze stupefacenti. Il quadro che l’autrice ricostruisce è di altissimo valore storico, documentale, bibliografico e webgrafico. Centinaia sono i link on-line italiani, americani e internazionali che lei riporta. Numerosi anche i riferimenti a carte, completamente o solo in parte, desecretate che svelano i piani scellerati dei cervelli oscuri a stelle e strisce. Quello dello studio in laboratori segreti, della sperimentazione su soggetti consapevoli o ignari, della diffusione su scala planetaria di ogni tipo di droga naturale o sintetica per screditare, deviare le lotte giovanili è uno dei capitoli più inquietanti che il libro squarcia. Non deve essere più la persona a consumare la sostanza, ma quest’ultima a consumare la persona. Lo spaccio di massa dell’eroina eleggerà più tardi questa massima a strage di ragazzi senza fine.

Daniela Ripetti, in quanto immagine nitida della libertà e della bellezza di quegli anni, sperimenta sulla sue pelle l’arbitrio poliziesco di incastrare, imbastire montature su personaggi-simbolo falsamente accusati di possesso e consumo di droghe. Una ragazza, una donna che non riavrà mai più la sua giovinezza. La privazione carceraria la spinge a cercare nelle risorse più intime la forza per non farsi schiacciare. Le ritrova nella poesia, che a Pisa esercitava insieme alla musica, alla chitarra, sia classica che elettrica. Mette criticamente a frutto quell’esercizio, compiendo un salto che la conduce a uno stile, a una voce alta e peculiare. I suoi versi risuonano tra i più ascoltati nei maggiori festival e reading poetici internazionali, come quelli ormai mitici sulla spiaggia di Castelporziano nel 1979 e a Piazza di Siena, a Roma, l’anno successivo. Tra molti altri critici e autori, scrivono sulla sua figura e sulla sua opera Alberto Moravia, Gianni Rodari, Romano Luperini. Nella forma dirompente dell’avanguardia, il verso ripettiano trascina un’eco ritmica che fa riaffiorare l’origine stessa, sempre in azione nel presente, della grande poesia d’ogni tempo. Dirompenza e suadenza, costituiscono insieme la voce intatta della giovinezza e il grido di denuncia contro l’apparato mondiale teso a rapinarla. Denuncia che è anche ormai rinuncia alla sua giovinezza, per un impegno di lotta politica e culturale che è già dell’età matura. Parafrasando Theodor W. Adorno, si può dire che proprio per amore della bellezza, della giovinezza lei vi rinuncia.

Daniela Ripetti, infatti, si laurea poi in Psicologia, divenendo presto una delle maggiori studiose e psicoterapeute nel campo dell’ipnosi, collaborando anche a importanti successi di nostri campioni ed equipe sportive nazionali, sule orme di suo padre. È il fronte cruciale su cui lei sposta l’impegno contro la persuasione occulta, la distorsione, la distruzione delle menti soprattutto giovanili. La battaglia dell’intera vita per questa ragazza, per questa donna, per questa poetessa e terapeuta è stata intessuta di durezza, fatica, mali e avversità di ogni genere. Le è stata davvero rapinata la giovinezza, ma lei continua a guardarci, riguardarci, chiamandoci per rispondere al suo appello di non farci mai strappare da alcun potere lo sguardo senza età di ogni giovinezza.

di Riccardo Tavani

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