L’amore per chi non c’è più

Anno 2000.

Nei pressi di Roma viene ritrovata ancora sigillata una tomba romana ancora intatta, del I secolo dopo Cristo. Vi sono sepolti una madre e suo figlio. Lei, Ebuzia,  morta a 42 anni (l’aspettativa di vita media di una donna romana del suo tempo). Il figlio, Tito Carvilio Gemello, se ne è andato prima di lei, a diciotto anni e tre mesi. Morto forse per una caduta.  I corpi sono stati mummificati con la mirra e deposti sotto un tappeto di ghirlande di fiori: rose, viole e lylium. Entrambi sepolti d’estate, sigillati dentro preziosi sarcofagi istoriati. La morte del figlio deve aver provocato alla madre un dolore inenarrabile. Perché i bambini morivano spesso prima dei dieci anni  e il suo ne aveva già compiuti diciotto, ormai poteva essere considerato fuori pericolo. Ebuzia commissionò alla morte del figlio un anello d’oro, con un castone ovale di cristallo di rocca, trasparente come l’acqua, convesso come una lente d’ingrandimento. Sotto la lente di quarzo fece chiudere il ritratto di suo figlio, riconoscibilissimo, in una miniatura fatta d’oro. Un unicum, dal valore inestimabile, anello senza un graffio, mai indossato, pensato per essere portato con sé nella tomba, nell’aldilà, quando Ebuzia avrebbe ritrovato, ne era certa, suo figlio. L’anello di Ebuzia e Carvilio, conservato al Museo Archeologico di Palestrina, ha bucato il tempo. L’immenso amore di una madre per suo figlio è arrivato fino a noi.

Anno 2021

Annamaria, una donna di Roma, ha perso il figlio, morto a 18 anni. Inconsolabile, da mesi aspetta di riaverne le ceneri, ma il figlio è ancora fermo in un deposito.

– Io la notte non dormo perché dico :” Chissà dove l’hanno messo, magari l’hanno buttato nella fossa comune?” Non lo so che fine ha fatto. Già è un dolore perderlo, ma questo è ancora peggio-

A Roma i cimiteri sono al collasso, coi depositi pieni di feretri accumulati. Bare su bare, non sigillate, senza protezione di zinco, coi nomi attaccati davanti, o scritti a pennarello, come pacchi in giacenza. ‪Lunghe attese per le cremazioni, servizi inesistenti, personale insufficiente. I cimiteri romani non riescono a smaltire il carico di tumulazioni e a gestire le scadenze trentennali delle concessioni, al punto che ci sono salme letteralmente scomparse.

La morte riguarda soltanto i vivi. Se Ebuzia e Carvilio si fossero ritrovati, se Annamaria e suo figlio un giorno dovessero riprendersi per mano, non sarebbero interessati alla nostra commozione. Ma a noi vivi resta la cura del sentimento prezioso dell’amore oltre la morte, dell’affermazione di un legame. Ci resta il bisogno di ricordare chi non c’è più dandogli un pubblico decoro, un recapito per il dolore, un luogo preciso dove andare per una visita, per un fiore, per un pensiero. Per non dimenticarci che siamo in debito verso chi è venuto prima di noi, o anche solo per sentire che sapore ha il ricordo, per aggrapparci alla speranza che la morte non abbia l’ultima parola.

di Daniela Baroncini

 

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