La prof del corsivo e lo sfacelo della Civiltà

Ad Elisa Esposito, 19 anni, fresca di maturità, che col suo personaggio “la prof del corsivo” ha raggiunto milioni di italiani rendendo un trend di massa il corsivo parlato, slang nato per scimmiottare la parlata delle ragazze milanesi, hanno scritto e detto di tutto. Gli hanno augurato la morte, un tumore, varie altre malattie, l’hanno chiamata ritardata e l’hanno incolpata dello sfacelo e della fine della lingua italiana, che, nata con Dante, in lei troverebbe il suo punto più basso e la sua definitiva tomba. Sono davvero agghiaccianti quanto affascinanti le eterne dinamiche umane che in modo nuovo i social amplificano rendendole manifeste come un’enorme radiografia della nostra società arrabbiata, complessa, confusa. Alla fine, insomma, la grande strega e colpevole del disfacimento della nostra lingua e della nostra civiltà, già visto con chiarezza fulminante e descritto profeticamente da Leopardi nello Zibaldone, sarebbe lei, Elisa Esposito, la terribile prof del corsivo? Personalmente, spoiler, temo e credo proprio di no, e penso che questa rabbia, questa insoddisfazione collettiva incanalata nell’ondata di critiche che ha ricevuto, sia un sintomo più diffuso e preoccupante di quello stesso declino di cui la si vorrebbe incolpare. Alla giovane e graziosa ragazza, che ha dimostrato il non banale talento di saper strappare un sorriso o comunque un’emozione a milioni di italiani, viene imputato troppo, in modo ingiusto, le viene chiesta quella parola di senso, quel contenuto profondo, di orientamento, di guida, che dolorosamente manca, come il pane, in questa fase storica, e il suo successo viene letto quasi come un’onta, uno smacco, una beffa aggiunta alla tremenda assenza di parole, di poeti, di figure che sappiano dare un senso a questo momento storico che viviamo come civiltà.

È la nostra generazione, non quella di Elisa, che doveva dire la parola che adesso manca, siamo noi, non loro, ad aver fallito, e non si può chiedere a una tiktoker diciannovenne di salvare la lingua italiana, né al contesto di Tik Tok di tutelare secoli di cultura e di civiltà che mai come oggi, questo è vero, sembrano tanto fragili da iniziare sul serio a svanire. Il successo e l’eco mediatica di Elisa è stata talmente grande da interessare persino i vescovi della Cei, la Conferenza episcopale italiana, che hanno scritto in un comunicato dell’importanza di non dare giudizi affrettati, non condannare né demonizzare questi nuovi linguaggi che la tecnica, nei suoi vertiginosi sviluppi, impone all’opinione pubblica, e dell’urgenza di saperli aspettare e ascoltare in profondità. Buffo che debbano essere proprio i vescovi cattolici a ricordarci l’importanza di saper ascoltare senza pregiudizi, senza demonizzare forme e linguaggi nuovi solo perché ancora non li capiamo.

Di certo sta di fatto che questi nuovi canali linguistici rappresentano, e sempre più rappresenteranno, i modi e le tecniche con cui si esprimono e cercano contenuti milioni di persone oggi, ed è nelle complesse maglie dei loro algoritmi che dovremo essere capaci di inserire i miracoli e i gloriosi secoli di storia della nostra lingua e della nostra cultura, affinché queste non solo non vadano perse, ma dischiudano gli immensi tesori che custodiscono anche a queste nuove generazioni di italiani e italiane.

di Giacomo Fagiolini

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