Il voto annegato

Il voto elettorale del prossimo 25 settembre è già annegato, ancora prima di essere espresso. Annegato perché la maggioranza delle persone che non si sente e non sarà rappresentata dalle forze in competizione sono proprio i milioni di socialmente fregati, fresati; conculcati, inculati economicamente; culturalmente discaricati. Dunque il voto a loro è soprattutto negato. D’altronde si va a votare sulla scorta di una legge che rimette tutto nelle mani dei partiti. Il Rosatellum, così è chiamata la legge elettorale in vigore, prende il nome da Ettore Rosati, deputato della renziana Italia Viva, e vice presidente della Camera dei Deputati. Quando elaborò tale legge, però, faceva ancora parte del Pd. Legge appoggiata e fatta approvare nel 2017 da Pd, Forza Italia, Lega e altri gruppi minori di centro destra. Si opposero a essa Il Movimento Cinque Stelle e i gruppi a sinistra del Pd. Il cittadino può scegliere solo il partito, tutto il resto, ossia coalizioni e nomi dei candidati sono già stampati sulla scheda e su essi non si può esprimere nessuna preferenza. Non è solo il tecnicismo complicato della legge, e che condurrà sicuramente molte persone a sbagliare nell’esprimere il proprio voto.  No, ciò che conta è soprattutto che i partiti esautorano già in partenza coloro che li votano, tenendosi così le mani completamente libere di fare poi come meglio credono. Ossia, riservandosi la possibilità di tradire promesse, vincoli di coalizione e programmi, spargendo altri cambi di casacca e sordidi scambi di potere sottobanco.

Anche per questo l’indecisione se andare e chi votare, e la propensione netta a non votare proprio si aggira nei sondaggi attorno al 40%. Non si tratta tanto, però, di mero menefreghismo o sfiducia qualunquista. Il sentimento prevalente è quello della rabbia. Secondo YouTrend, questo stato d’animo investe il 57% del corpo elettorale, cui si unisce un altro 28% di indifferenti, diffidenti, ormai chiusi in solo sé stessi.

Se la maggior parte degli arrabbiati e serrati in sé stessi sono i non rappresentati, gli esclusi, calpestati socialmente, economicamente e culturalmente che richiamavamo all’inizio, chi dovrebbe e potrebbe rappresentarli? Nei due secoli precedenti – Ottocento e Novecento – è stata la sinistra a rappresentarli. Oggi, un po’ in tutto il mondo, non c’è più un grande, diffuso e capillare movimento di sinistra. Vediamo che in Italia, presenti in Parlamento e alle attuali elezioni ci sono solo piccoli frazionamenti di tradizionale sinistra. Una nuova lista, collage di diverse componenti, Unione Popolare è riuscita a raccogliere le firme necessarie a candidarsi, ma l’esito pronosticato si aggira proprio attorno a quel 3% che la legge pone quale soglia di sbarramento per accedere al Parlamento (il 10% per le coalizioni). Il massimo del vecchio, caro sol dell’avvenire, in un partito come il PD, sembra ormai delinearsi unicamente dentro l’orizzonte liberal-democratico – neanche più dentro quello della social-democrazia –, quale versione progressista dell’ideologia borghese e capitalista sui soli diritti civili.

All’ordine del giorno è dunque senza mezzi termini la stessa legittimità e capacità della sinistra di rappresentare le nuove classi sfruttate, sulla cui pelle passa una delle operazioni di neo-restaurazione sociale di dimensioni epocali. Certo, abbiamo una sinistra di militanza politica, più che diffusa, diremmo polverizzata, nelle periferie, tra gli scaraventati ai margini del precipizio sociale. Essa, però, riesce soltanto ad asserragliarsi intorno a conflitti locali, formando delle agguerrite e anche efficaci enclave, le quali non hanno – né potrebbero avere – la capacità di riconfigurare una più ampia prospettiva, proprio nel momento epocale che essa si fa più drammaticamente necessaria.

Non è un fatto di mera volontà, tantomeno di capacità soggettive di analisi, teoria e prassi. È che tra la nuova massa sfruttata – nel senso vero e proprio del termine – è ormai la stessa realtà, intesa come interezza delle condizioni di esistenza e sopravvivenza umana sul nostro pianeta. È la Terra stessa ha essere sottoposta a sempre più intensivo processo di estrazione e sfruttamento ai fini del profitto. Il profitto è appunto quell’elemento tanto materiale quanto ideologico che contraddistingue l’intera produzione ed economia capitalistica. La sinistra – dall’anarchismo al marxismo socialista e comunista – è stata la rappresentanza delle classi sfruttate dalla logica inesorabile del profitto capitalistico. Ossia, il soggetto cui dare non solo voce, ma anche direzione, azione politica, sindacale, di conflitto difensivo e offensivo nei confronti del profitto capitalistico, era il cosiddetto Quarto Stato, fatto di operai, contadini, proletari ben rappresentato nel celebre quadro del pittore Pellizza di Volpedo.

Oggi, però, il soggetto sfruttato non è più soltanto di tipo umano, ma è principalmente oltre-umano. È, infatti, la dimensione esistenziale stessa che consente la sopravvivenza, la riproduzione, lo sviluppo non solo materiale, ma anche spirituale dell’umano. Questo cambia totalmente quadro e cornice dei valori e degli interessi da rappresentare. Non basta inserire nei propri programmi politici ed elettorali sacrosante istanze di difesa ambientale, come pure meritoriamente fanno partiti, liste e variegati agglomerati territoriali di sinistra. La necessità epocale si presenta in termini ben più rivoluzionari. Più che riconfigurare, si tratta di far emergere, mostrare l’autentico sfondo di giustizia spettante a ogni singolo aspetto ed elemento della totalità esistente – dunque non solo umana – e a esso improntare i valori di una nuova civiltà. È vero che le costituzioni degli Stati – dall’antica Grecia a oggi – hanno sempre rappresentato il peso e l’equilibrio delle forze politiche e sociali in un preciso momento storico. Un’inedita costituzione che squarci questa più profonda dimensione, struttura del reale negata, ossia oscurata per accecamento, annegamento dello sguardo antropocentrico, invece, potrebbe essere già da ora essere mostrata, dato che è già incontrovertibilmente in atto.

di Riccardo Tavani

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