Giuseppe Montalbano: il primo morto per mafia, nel 1861

Le “necessità politiche” alimentano i cancri

Dell’uccisione di Giuseppe Montalbano, medico Mazziniano combattente al seguito della spedizione dei mille, possono colpire tanti fattori, che possono dar luogo a numerose riflessioni. Ma il primo fattore è sicuramente la data del suo assassinio, 3 marzo 1861, ovvero cinque mesi dopo il plebiscito unitario siciliano e due settimane prima della proclamazione del Regno d’Italia (avvenuta il 17 marzo).

Montalbano, tra gli artefici della rivoluzione palermitana del ’48, aveva combattuto coi garibaldini, nelle campagne di Salemi e, in forza del decreto garibaldino del 2 giugno 1860, aveva rivendicato al comune tre feudi usurpati dalla principessa Filangeri, grazie al ceto agrario e baronale, legato al governo borbonico.
Le tre fucilate che a sera, a pochi passi da casa, a S.Margherita Belice, gli tolsero la vita, scatenarono una sommossa popolare di due giorni: il culmine dei disordini, fu l’assalto al municipio, in cui si erano rifugiati alcuni dei presunti assassini.
Altro significativo fattore è il comportamento che allora ebbero le forze dell’ordine: queste mostrarono molto più attivismo per reprimere quella sommossa spontanea, di quanto non ne fecero vedere, per ricercare e perseguire mandanti ed esecutori, di quel delitto.

A distanza d’anni, c’è chi ha visto nell’ignavia delle forze dell’ordine del nuovo stato, il bisogno del primo ministro Camillo Benso di Cavour di trarre quanto più sostegno possibile dalla classe latifondista, sia per non subire sorpassi parlamentari, da parte delle forze democratiche, sia per non alimentare eventuali rivendicazioni, da parte delle forze repubblicane.
In una sua lettera al colonnello garibaldino Giuseppe  Oddo, di qualche settimana prima il suo omicidio, il Montalbano stesso parla di vero e proprio tradimento delle loro aspirazioni, da parte del governo del re.

Queste parole ed i fatti che ne seguirono, oltre a dar corpo a numerose, romantiche, congetture “gattopardesche”, pone quasi il problema se il potere della mafia dei feudi non sia stato rafforzato, in quegli anni, proprio dalle politiche del nuovo Regno Italiano e se, in definitiva, il cancro della mafia non abbia proliferato incurabilmente, nel tessuto siciliano, proprio dalle scelte dei nuovi governanti unitari. Questo porrebbe un’inquietante ombra sulla figura del Cavour e porrebbe in una prospettiva assai diversa il popolo siciliano, non più passivo o connivente, ma capace di sollevarsi per avere giustizia e, in questo, represso, in favore dei campieri, dei gabellotti, degli assassini mafiosi, proprio da quello Stato che, invece, avrebbe dovuto tutelarne le aspirazioni.

Se la mafia è un fenomeno siciliano, è anche vero che i suoi naturali anticorpi sono sempre stati nel suo stesso popolo e che la sua micidiale radicazione, è stata forse causata da quella sorta di “voto di scambio” ante litteram, culminata in assurde scelte politiche dei nuovi governanti del nord.

Giuseppe Montalbano, dall’idealista che era, ha combattuto ed è morto per una giustizia sociale che gli italiani ed i siciliani, probabilmente non hanno mai conosciuto. Lui è forse la prima vittima unitaria, del sopruso mafioso e della contiguità politica-mafia, che continua a zavorrare il nostro paese.

Mario Guido Faloci

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