A Peppino Impastato, Ciuri ri campu

Coordinatrice di Redazione

“Fiore di campo nasce/ dal grembo della terra nera/ fiore di campo cresce/ odoroso di fresca rugiada/ fiore di campo muore/ sciogliendo sulla terra/ gli umori segreti”.
Era la notte tra l’8 ed il 9 Maggio 1978 quando Peppino Impastato veniva trucidato a sassate in un casolare nella contrada Feudo, a Cinisi, e poi fatto esplodere da una carica di tritolo sui binari della linea Palermo-Trapani. Nessuna terra a cui restituire gli umori segreti, nessun odore di rugiada da regalare al vento per Peppino, Fiore di campo.
Peppino muore di morte violenta, muore per mano della mafia. Peppino è figlio di un mafioso, Luigi Impastato, è il nipote del boss di Cinisi, Cesare Manzella. Quella cosa che la gente chiama ( o meglio, non chiama) mafia, Peppino la osserva da dentro.
Ma Peppino è un Fiore di campo e i fiori di campo lo sanno che il sole, il vento, la terra non si comprano, che per essere felici i fiori di campo devono vivere secondo una giustizia che non prevede prevaricazioni. Il disprezzo per la mafia- che nel frattempo ha fatto saltare in aria lo stesso Cesare Manzella- unito ad un’ansia di giustizia sociale spinge Peppino ad avvicinarsi alla politica sin da adolescente. Sono gli anni della rivista L’idea Socialista ( chiusa in breve tempo per una pioggia di prevedibili denunce) e della creazione del circolo Musica e Cultura.
Musica e Cultura si rivela un centro di aggregazione formidabile. I dibattiti, i cineforum, le prime denunce del sistema mafioso gettano i semi di una rivoluzione che è innanzitutto culturale, nel senso più ampio del termine e che avrebbe trovato il proprio compimento nel 1977 con la fondazione di Radio Aut. Da un piccolo appartamento di Terrasini, Peppino ed i suoi compagni trasmettono notizie nazionali ed internazionali ma, soprattutto, danno una voce ed un volto a chi non può parlare e a chi, invece, preferisce rimanere nell’ombra. A Radio Aut parlano i disoccupati, le femministe, parlano gli agricoltori rovinati dagli affari della mafia, i pescatori. A Radio Aut si racconta cos’è quella cosa che viene chiamata mafia, si racconta di cose è fatto lo strapotere, la ricchezza dei boss. I nomi vengono gettati contro quel muro di omertà che da sempre aveva pesato sulle vite e sulle coscienze degli abitanti di Cinisi ed il muro si sgretola. Si sgretola sotto la forza dirompente di quel Fiore di campo che aveva capito che per distruggere i mafiosi si dovevano distruggere quelle stesse basi culturali che ne facevano, agli occhi della gente, personaggi da temere o da venerare. I mafiosi sono mezzi uomini, caricature di se stessi, macchiette da deridere, sbugiardare, ridicolizzare. La mafia non è qualcosa di oscuro, qualcosa che esiste come un naturale cancro di cui farsi portatori sani. La mafia è una montagna di merda che uccide la bellezza, mortifica i territori, semina violenza, corrompe, massacra e come tale va raccontata. E sempre come tale va spalata via.
Questa necessità di informare, unita alla scoperta del potere della ridicolizzazione , trova lo strumento perfetto in un’ironia dissacrante che fa di Cinisi una sorta di città del Far West dal nome Mafiopoli, trasforma il Municipio in Maficidio ed il boss Gaetano Badalamenti nell’indiano Tano Seduto.
Qualche mese prima di essere ucciso, Peppino si candida alle elezioni comunali di Cinisi con Democrazia Proletaria. La campagna elettorale diventa l’ennesima occasione per attaccare pubblicamente il boss Gaetano Badalamenti che, alla fine, decide di fargliela pagare. Peppino Impastato muore lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. La notizia finisce nell’ombra. Di quel giornalista un po’ scomodo si raccontano strane storie, pare sia un dinamitardo, saltato in aria mentre preparava un attentato terroristico, forse un suicida. L’ostinazione della madre e del fratello di Peppino, Felicia e Giovanni Impastato, porta a riconoscere finalmente, nel 1984, la matrice mafiosa dell’omicidio. Il caso archiviato due volte per l’impossibilità di individuare i colpevoli, trova un punto di svolta nel 1994, quando le confessioni del pentito Salvo Palazzolo incastrano definitivamente Vito Palazzolo, condannato nel 2001 a trent’anni di reclusione, e Gaetano Badalamenti, da sempre indicato dalla stessa Felicia Impastato come responsabile della morte del figlio, condannato all’ergastolo nel 2002.
A distanza di 38 anni quel che resta a noi è le profonda, leggera, furente gioia di vivere di un Fiore di campo che non chiedeva altro che vivere da Fiore di campo.
Perché la grandezza di Peppino Impastato non si può spiegare solo col coraggio. La grandezza di Peppino Impastato è stata quella di capire che l’unica forma di ribellione alla mafia che abbia la possibilità di diventare definitiva è quella che ha alla base uno smantellamento completo della radici culturali che hanno permesso per secoli alla mafia stessa di tenersi in piedi. Che della mafia vanno raccontate le facce, quelle distanti 100 passi da casa nostra, che di quelle facce bisogna saper ridere, sì ridere. Ridere di ciò che non potranno mai essere, di ciò che non potranno mai rappresentare, del potere che non potranno mai scagliarci addosso se tutti imparassimo a ridere di ciò che i padroni di queste facce sono: uomini da niente.
Ciuri ri campu nun mori.

di Martina Annibaldi

Print Friendly, PDF & Email