Mediazione civile : recenti dati statistici tra consensi e polemiche

Antonella

La mediazione obbligatoria non c’è più: rimane quella facoltativa

Gli ultimi rilevamenti statistici sull’andamento e la diffusione dell’istituto della mediazione civile in Italia appalesano dati di discreto rilievo.

Una sbirciata ai dati diffusi dal Ministero della Giustizia mostra come le iscrizioni siano state in tutto circa 150.000, con innalzamenti ragguardevoli ad attestazione che l’istituto avrebbe forse ingranato la giusta marcia, registrando una costanza che legittimerebbe pronostici di regolarità e durevolezza. Nei primi sei mesi del 2012 sono state chiuse, con accordo positivo, oltre 60.000 mediazioni.  La mediazione ha registrato un successo soddisfacente anche per materie che non erano soggette alla condizione di procedibilità. Nel numero totale di mediazioni, comunque, é la condizione di procedibilità a favorire lo sviluppo e la diffusione dell’istituto. Nel totale, tra le “materie obbligatorie”, sono i diritti reali in testa alla classifica con circa il 20% dei casi. A seguire i casi afferenti alla materia della locazione e le materie di altra natura. La mediazione si risolve positivamente nel 48% dei casi in cui la parte invitata accetta di partecipare. Positivo anche il trend che vede la comparizione della parte invitata, inizialmente più scettica, via via sempre più partecipe. Un dato significativo viene dalla mediazione volontaria, nella quale si raggiunge l’accordo nel 65% dei casi in cui l’aderente compare.

Certamente la mediazione nel nostro Paese è nata da una normativa ampiamente deficitaria ed in mezzo a numerose polemiche tra detrattori e sostenitori. Tuttavia alcuni risultati positivi sono arrivati. Infatti è stata registrata una certa diminuzione della nuove cause iscritte a ruolo e il numero delle mediazioni con esito positivo è stato in lento, ma costante aumento.

La mediazione è divenuta obbligatoria nel nostro ordinamento nel 2010, scatenando un’ondata di proteste nell’avvocatura. Essa prevedeva, relativamente a specifiche materie civilistiche (quali a titolo esemplificativo locazione, successioni ereditarie, condominio, responsabilità medica, diffamazione, danni da circolazione di veicoli, contratti bancari e assicurativi), l’obbligo per le parti che volessero andare in causa di tentare una previa conciliazione presso un soggetto privato, costituito proprio con lo scopo di trovare un accordo bonario alla controversia. Lasciando in tutti gli altri casi alle parti il ricorso facoltativo alla mediazione, con possibilità di soluzione del conflitto in via stragiudiziale, alternativa suggerita dalla natura della causa, oltre ché da motivazioni di opportunità.

La riforma della mediazione civile ideata per permettere di accorciare i tempi del sistema giudiziario e concepita come “un’occasione importante per restituire efficienza e risorse alla giustizia civile e tutelare gli interessi del mercato”, è stata definita dall’Oua ( Organismo Unitario dell’Avvocatura) “una pasticciata procedura foriera di costi e ritardi”, proprio per la sua obbligatorietà, destinata, secondo l’associazione degli avvocati ad allungare i tempi del procedimento per chi è deciso ad andare comunque davanti al giudice. Un altro punto dibattuto è il costo, da 250 a 9 mila euro, senza comprendere alcuna assistenza legale, per cui chi, davanti al mediatore vorrà farsi assistere da un avvocato, dovrà pagarlo di tasca sua e affrontare spese aggiuntive. Altra nota dolente, per i legali civilisti, sta nel fatto che non sia stata prevista, nella mediazione, la “competenza territoriale”: col rischio e la diseconomia per il cittadino di essere convocato anche a centinaia di chilometri da casa; infine i legali denunciano la scarsa, dal loro punto di vista, qualifica professionale dei mediatori: è stata infatti ritenuta sufficiente una laurea triennale e un corso di 50 ore per poter esercitare, praticamente una settimana per diventare mediatori ed avere la competenza e capacità di “conciliare”.

Il 24 ottobre 2012, dopo due anni di vigenza, “La Corte Costituzionale, richiamando la necessità di un rispetto più scrupoloso del nostro sistema delle fonti, che è stato devastato da prassi falsamente emergenziali e decidendo le sorti di uno degli istituti più discussi del nostro processo, ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione. La Corte ha così tutelato il diritto di difesa del cittadino unitamente alla sua dignità, con affermazione di un concetto di giustizia che si dispiega quale valore fondamentale di uno Stato di Diritto contro un modello alternativo di business.

La morte della mediazione obbligatoria non decreta comunque anche l’estinzione della mediazione facoltativa: essa, infatti, rimarrà una possibilità ed uno strumento alternativo di cui potranno avvalersi le parti che non vogliano adire direttamente il giudice, ma intendano tentare prima una soluzione bonaria alla controversia, attraverso un componimento tra le parti che garantisca una chiosa onorevole per entrambe, certamente con risparmio di tempi, dal momento che un procedimento di conciliazione che arriva al traguardo, si conclude mediamente in 61 giorni, a fronte degli oltre mille giorni necessari in media per la via giudiziaria. Due mesi contro quasi tre anni.

Mentre i giudici delle leggi sentenziano, gli avvocati esultano. Migliaia di altri professionisti, tra loro moltissimi giovani, che sull’affermazione di un servizio come la mediazione civile (e solo su di esso), avevano investito tempo e danaro, saltando sul carro di questo industrioso espediente, si ritrovano oggi privati di fatto di una opportunità di lavoro e guadagno.

Una prova del fatto che l’incertezza del quadro regolatorio inibisce gli investimenti, con ineluttabile emorragia di lavoratori e di categorie professionali che si erano ben piazzati sul mercato, contando di mungere fin dove avessero potuto!

Mentre il Ministro Severino pensa ora di irrobustire lo strumento della mediazione volontaria con un sistema di incentivi, resta l’amarezza di fondo per lo sfaldamento di un sistema in cui molti avevano intravisto possibilità di dinamismo e prosperità. Un sistema concepito sull’obbligo di sborsare denaro per avere che cosa? Nulla. Del resto, se la mediazione è tanto vantaggiosa per i cittadini che bisogno c’è di renderla obbligatoria? E poi si può davvero pensare che chi non vuole pagare un risarcimento si rechi (se tutto va bene, visto che si paga anche per andare all’appuntamento) dal mediatore e grazie a lui come d’incanto cambi idea? Ma se spesso nemmeno di fronte a una citazione il debitore vuol pagare! Diciamo piuttosto che la mediazione obbligatoria è (era per fortuna) una sorta di “taglieggiamento” senza il quale la causa è improcedibile. Uno strumento di ulteriore disincentivazione ad agire, visto che così il malcapitato arrivava alle soglie della causa già praticamente spennato. Un ricatto legalizzato, con l’unico scopo di fare business alle spalle dei cittadini. Della serie: se non vieni qui da noi a versare l’obolo non puoi agire per tutelare i tuoi diritti. Laddove l’unica mediaconciliazione obbligatoria seria e fattibile sarebbe quella che si fa gratuitamente presso un organismo pubblico. Ma siccome così non si guadagnava una “breccola”cosa si sono inventati? Gli organismi “accreditati” a pagamento! E non a caso nell’unica ipotesi in cui era obbligatoria, nel processo del lavoro, cosa han fatto, visto che era gratuita? L’hanno abolita! Davvero nulla di più illiberale!

La mediazione non è una causa che costa poco, non dà nessuna sentenza. Invece i mediatori hanno fatto intendere, che con pochi soldi questo strumento rappresenti una scorciatoia per arrivare ad una decisione. Senza poi sottacere del fatto che gli italiani sono litigiosi per natura e se non sarà reintrodotta l’obbligatorietà, con le dovute forme legislative, la ” cultura della mediazione” non si diffonderà mai e continueremo ad avere una giustizia civile paurosamente inefficiente e lenta, ancorché costosissima, soffocata da cause ”bagatellari”, basate su questioni di principio che potrebbero invece sciogliersi in sede di mediazione. Ma le soluzioni all’inflazione della giustizia sono altre: occorrerebbe responsabilizzare chi azzarda cause assurde e palesemente temerarie, richiedere maggiore responsabilità professionale, maggior decoro della professione, maggior livello qualitativo della prestazione professionale, meno “Porta Portese”nella categoria forense.

Un’osservazione ultima sulla riserva della consulenza legale: e che dire dei guasti delle pseudo consulenze fatte da chi non ha gli strumenti del mestiere?

Vero è che il precedente esecutivo ha pensato bene di introdurre un nuovo business, attraverso una formazione pagata a caro prezzo da giovani con qualunque laurea triennale, che mai hanno messo piede in un Tribunale e soprattutto mai hanno visto un atto giudiziario. Per non disquisire poi della delicatezza della materia e delle questioni che ogni controversia reca con sé e che richiederebbe standard di specializzazione, aggiornamento e qualificazione professionale sempre più elevati, oltre ché una padronanza e dimestichezza che travalichino la bravura cognitiva, per tradursi in esperienza che garantisca abilità pratica nel campo specifico.

E poi la strada per cercare di risolvere i problemi della giustizia, non può essere quella della sua privatizzazione (pagata anche a caro prezzo) per mezzo di figure assolutamente non qualificate, ma quella forse di investire in una branca dell’Amministrazione che da sempre registra inefficienze e carenze di risorse e mezzi e per la quale i cittadini pagano le proprie tasse, pur contemplando impotenti difficoltà e problemi ormai cronicizzatisi. Quegli stessi cittadini che se vengono lesi, hanno il diritto, sacrosanto, costituzionalmente garantito, di rivolgersi alla Magistratura ed ottenere una sentenza con forza esecutiva e in tempi ragionevoli.

di Antonella Virgilio

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