Sono sempre i sogni a dare forma al mondo. Parlano Giulia e Federico, due delle giovani anime del cinema “America”
L’appuntamento è alle 11, ma a Roma i semafori hanno un tempo a parte che ti fa tardare anche se sei in anticipo. Così l’intervista parte con un po’ d’affanno, ma il respiro prontamente si calma incrociando gli occhi di due ragazzi che, nella loro semplicità, forse non sanno di essere colossali. Colossali come l’ultima iniziativa in ordine di tempo che, forti dell’appoggio di tante altre giovani anime, hanno messo in piedi nella calura trasteverina. Spazio, dunque, alle voci di Giulia Buraschi e Federico Croce.
Toni Servillo, Paolo Sorrentino, Carlo Verdone, Paolo Virzì, Valerio Mastrandrea, Kim Rossi Stuart. Senza contare Roberto Benigni, questi sono solo alcuni degli ospiti che hanno animato l’arena estiva in Piazza San Cosimato. Così, a secco: dove volete arrivare?
Federico: «Ancora non lo sappiamo, preferiamo goderci volta per volta i successi delle varie iniziative. Siamo appunto reduci da un’arena che, rispetto all’anno scorso, ha quasi raddoppiato le presenze, passando dai 36.000 ai 60.000 tra giovani e meno giovani, desiderosi di vedere con noi anche la Nazionale agli Europei senza spendere un solo euro».
Giulia: «A fine serata c’è stata perfino gente che ci ha chiesto di restare per aiutarci a ripulire la piazza, a mettere a posto le sedie. “Avete scope e palette?” era il ritornello che sentivo ogni volta che il film o la partita di turno volgevano al termine».
Cosimato (a cui è intitolata la piazza) è in realtà la contrazione dei nomi Cosma e Damiano, due fratelli medici che curavano gratuitamente i poveri. Fuor di metafora, la vostra missione è un po’ questa: “curare” senza scopo di lucro le anime spaesate dei ragazzi che incrociano lo spazio vuoto del post-diploma.
Giulia: «Certamente. La nostra stessa voglia parte in effetti da un eccesso di tempo libero, derivante dalla chiusura estiva delle scuole (era l’anno della riforma Gelmini). Cercavamo uno spazio dove poter incontrarci, studiare insieme, creare un qualcosa di comune che andasse oltre il movimento studentesco. A me piace raccontare che inizialmente erano i residenti a voler occupare il cinema “America”, ma siccome dicevano di essere ormai vecchi per farlo, l’abbiamo messa in questo modo: noi ci mettevamo l’età, loro ci davano una mano».
Federico: «Siamo partiti da un’idea di attivismo scolastico che poi si è riversata sul sociale. Cercavamo di superare noi stessi, evitando di fare i ragazzetti che preferiscono regalare 5/6 € al pub di turno per bere una birra e concludere lì la serata. Volevamo creare un’alternativa, che dopo vari confronti alla fine è arrivata: un territorio libero, che ad esempio è partito da un semplice laboratorio di scacchi. Col tempo abbiamo acquisito consapevolezza e, di colpo, siamo stati adottati dai residenti storici del rione, che ci hanno sostenuti e viziati. Erano magici quei momenti in cui, all’ora di pranzo, te li ritrovavi all’ingresso con in mano una teglia di pasta e in volto un sorriso».
Giulia, romana, classe ’97: neanche 20 anni, eppure già le idee chiare sul cinema e sul modo di distribuirlo in città. Da dove nasce la tua passione?
Giulia: «In realtà è solo adesso che ho le idee chiare: all’inizio invece proprio zero. Cinque anni fa ho incontrato i ragazzi a un’iniziativa per caso, facendo il bruttissimo errore (ride) di dare il mio numero a Valerio. Da allora non ha più smesso di scrivermi e invitarmi alle assemblee, che in quel periodo si tenevano di sabato pomeriggio. Un giorno ho deciso di andarci e, al ritorno a casa, ho comunicato a mia madre che avrei occupato un cinema. Da lì poi è passato un anno circa, ma il decorso per me è stato abbastanza rapido perché ero nel pieno dell’adolescenza: avevo appena 15 anni. Col tempo mi si è aperto un mondo, perché ad oggi ho scoperto che la mia passione è fare casting».
Una domanda che un po’ tutti si chiedono: quando sarà funzionale “Il nuovo Troisi”? Ma soprattutto: sarà possibile tornare a vedere le partite della Roma come un tempo all’“America”?
Federico: «Ad oggi è difficile comunicare una data, perché la sala necessita di lavori per tornare ad essere agibile. A partire ad esempio dall’impianto di condizionamento, di cui non si sa nulla: bisogna cambiare semplicemente una guarnizione oppure smontarlo interamente e rifarlo da capo? Difficile rispondere, ma quando avremo un contratto saremo liberi di muoverci in maniera molto più lineare. Sicuramente faremo vedere le partite della Roma, perché innanzitutto siamo tifosi; in secondo luogo perché ci hanno subissato di richieste».
Giulia: «Io sono un po’ meno tifosa in genere, ma credo che la Roma rientri tra priorità del collettivo, fatto di gente che abitualmente va allo stadio. Riallacciandomi al discorso di prima, aggiungo che è importante cercare degli spazi che rispettino la nostra idea di cinema. All’“America” eravamo abituati a quel lungo corridoio e a quell’aula studio al piano superiore, mentre “Il nuovo Troisi” è fatto di un’unica stanza gigantesca, dove tra l’altro è stazionata una caldaia altrettanto enorme: cosa si fa con quella, la si tiene o la si rimuove? Possiamo metterci mano o è proprietà di Ferrero? Dobbiamo capire questo ed altre cose».
Qual è il vostro rapporto con la nuova amministrazione comunale?
Giulia: «Noi siamo tanto aperti, nel senso che saremmo propensi al dialogo, ma se questo non dovesse arrivare andremmo avanti ugualmente: in fondo abbiamo un obiettivo da perseguire. Quando ci sono proposte interessanti desideriamo metterci in gioco, perché amiamo la dinamicità, ma se non arriva niente…».
Federico: «Il rapporto col Comune? Zero assoluto. Come diceva Giulia, siamo una realtà che esiste ormai da anni e ci sembrerebbe, per una nostra visione di società, che un’amministrazione che vuole lavorare con i giovani e per la città passi attraverso una realtà come quella che abbiamo messo in piedi. Se non altro perché viviamo la piazza e siamo costantemente a contatto con la gente. Con Marino non abbiamo avuto rapporti e lui per noi non ha fatto nulla, nonostante le 36.000 presenze dell’estate scorsa all’arena…».
A proposito di condivisione, di comunicazione (che poi di fatto significa “mettere in comune”), adesso vi pongo un quesito un po’ scomodo, al quale siete liberi di non rispondere. E’ notizia recente l’archiviazione di un caso che ha tenuto col fiato sospeso almeno due generazioni, come la scomparsa di Emanuela Orlandi. Avete mai pensato di darvi spazio, magari con un documentario o con degli incontri a tema?
Federico: «Noi lavoriamo su una nostra vertenza, che a sua volta nasce da una necessità: un tempo eravamo ragazzi, volevamo semplicemente uno spazio in cui aggregarci e passare il tempo libero; crescendo, quello spazio è divenuto un contenitore culturale, col risultato che le vertenze da appoggiare sono aumentate: occuparsi di tutto sarebbe impossibile (“Sarebbe occuparsi di niente”, commenta sottovoce Giulia). Dovremmo allora portare avanti il nome di tante battaglie che ci sembrano alla pari giuste ma che, proprio perché numerose, rischieremmo di trattare superficialmente. L’anno scorso, all’arena, abbiamo comunque trasmesso un documentario sui No-Tav che ha avuto seguito, ma avevamo uno spazio. Per trattare del caso Orlandi ci occorre una sala che, in questo momento, non abbiamo, ma ad ogni modo non escludiamo di prenderlo in esame».
Di recente, in un’intervista rilasciata ad Arianna Finos de La Repubblica, il vostro amico e presidente dell’associazione “Piccolo Cinema America” Valerio Carocci ha raccontato il siparietto con Ettore Scola, che a telefono era solito mettergli in discussione ogni proposta (salvo poi scoprire che era un metodo per spronarlo a fare sempre più). Quanti altri aneddoti ci sono che non conosciamo?
Giulia: «Tanti, troppi! A partire dalla nottata passata a rileggere le 450 pagine del bando in compagnia di Valerio, sua sorella Flaminia, i loro genitori, la madre di Flavia e il padre di Federico. Quella notte abbiamo dormito un’ora sola, perché al risveglio io mi sono recata a scuola e il gruppo restante è andato all’Assessorato al Patrimonio per consegnare il bando».
Federico: «Un solo capitolo lo meriterebbe proprio Scola, che era il primo a sostenerci nel periodo dell’occupazione. “Adesso l’“America” va rioccupato!”, era il suo monito in seguito allo sgombero. Ma la lista è lunga, come nel caso di Nanni Moretti che, in occasione di un’ospitata, voleva che noi andassimo a prenderlo. Peccato che però era all’“Alcazar” (ossia l’altro cinema): quando io e Valerio l’abbiamo raggiunto, lui era all’ingresso e la scena che si è venuta a creare è stata surreale: noi che parlavamo con Nanni Moretti e, sullo sfondo, il cassiere che non capiva la situazione».
Siamo ai saluti. In conclusione, che prevede il calderone autunnale delle proposte? Cosa bolle in pentola?
Federico: «Con nostro grande rammarico, da quando ci hanno sgomberati dall’“America” abbiamo un rapporto complicato con l’autunno e l’inverno; rispetto all’estate, infatti, è molto più difficile tirar su eventi di piazza o maxischermi. L’anno scorso, ad esempio, per trattare l’argomento delle mafie abbiamo usufruito delle palestre dei vari licei. Col caldo invece diventa tutto più facile, infatti sempre nell’estate 2015 abbiamo chiuso la programmazione riconsegnando per due sere al pubblico il “Metro Drive-in” di Casalpalocco, il cinema all’aperto più grande d’Europa. Nonostante fosse dismesso ormai da anni, siamo riusciti a riempirlo con 10.000 persone in soli due giorni (ogni sera c’erano almeno 700 auto)».
Giulia: «Vero, d’estate diventa tutto più fattibile. Ad esempio un anno fa ci è stato possibile andare in trasferta a Venezia anche per metterci alla prova aldilà di San Cosimato. Lì abbiamo trovato perfino ragazzi che erano soliti frequentare l’aula studio del cinema “America”. “Allora non ci si libera di voi tanto facilmente”, erano i loro commenti: l’abbiamo visto come un gesto d’amore. Quest’inverno sfrutteremo ancora l’entusiasmo e produrremo il più possibile, sperando che la buona sorte ci aiuti nel caso de “Il nuovo Troisi”. Intanto ci piacerebbe che la nostra opera si diffonda ad altre realtà, come dimostra il fatto che, nel nostro regolamento, uno dei punti cardine è proprio la “ripetibilità dell’azione”».
Giovani, ma non per questo sprovveduti: Giulia e Federico (e come loro Valerio, Flaminia e tanti altri), sanno cosa ci vuole per rilanciare Roma. Inseguire i sogni, ad esempio. Sì, perché come dice Ligabue, sono sempre quelli a dare forma al mondo.
di Massimo Salvo